caffè
26 Ottobre 2015Il caffè è una delle bevande più amate e diffuse al mondo, ma non tutti i coffee loverssono a conoscenza dei benefici per il nostro benessere. Diversi studi scientifici, infatti, assocerebbero il consumo di caffè a un effetto positivo nei confronti di malattie croniche, quali diabete, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Nel corso degli ultimi 20 anni, un numero crescente di questi studi si sono focalizzati sul ruolo di questa bevanda anche nei confronti del più grande organo del corpo, il fegato. L’Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC, www.coffeeandhealth.org) segnala uno studio del 2014 cheha valutato l’effetto del consumo di caffè sulla riduzione del rischio di epatocarcinoma (HCC) e della malattia epatica cronica (CLD), su un campione di oltre 162.000 individui.
Le evidenze mostrerebbero un’associazione tra consumo di caffè e riduzione del rischio di epatocarcinoma e di malattia epatica cronica. Rispetto ai non bevitori, gli individui che avevano assunto 2-3 tazzine di caffè al giorno avrebbero mostrato il 38% di probabilità in meno di sviluppare l’epatocarcinoma e del 46% di probabilità in meno di svilupparela malattia epatica cronica; tali valori salirebbero rispettivamente al 41% e al 71% aumentandoil consumo di tazzine di caffè a 4o più al giorno. I meccanismi di azione attraverso i quali il caffè eserciterebbe effetti positivi sul fegato non sono pienamente compresi ad oggi, ma gli studi indicherebbero che il consumo di questa bevandaè in grado di ridurre l'accumulo di grasso e il deposito di collagene nel fegato.
Caffè e fegato: il parere della Società Italiana di Scienza dell'Alimentazione (SISA)
È già da anni che sono state raccolte numerose evidenze molto interessanti circa le proprietà protettive che vari componenti del caffè esercitano nei confronti del rischio di tutta una serie di patologie epatiche. Ad esempio, un consumo regolare di caffè sembra aiutare a prevenire i danni provocati al fegato dall’abuso di alcool e dal fumo di sigaretta oltre che migliorare i test di funzionalità epatica e prevenire le cirrosi, alcoliche e non-alcoliche. Molti sono infatti gli studi epidemiologici che da anni hanno evidenziato una correlazione inversa, non solo fra consumo regolare di caffè e cirrosi epatica, ma anche fra caffè e rischio di calcolosi biliare, in quanto il caffè stimola lo svuotamento della colecisti: quest’ultimo effetto sembra essere dose-dipendente, ma sembra anche scomparire se si superano i 300 mg/die di caffeina. I due nuovi lavori riportati non fanno che confermare questo quadro, anche se l’aumento dell’effetto favorevole all’aumentare delle tazzine consumate va enunciato con cautela e sottoposto a verifica sperimentale.
Sempre in tema dei rapporti fra caffè e fegato sarà utile ricordare i risultati di qualche altra ricerca piuttosto recente: una metanalisi pubblicata nel 2013 su Gastroenterology dalla quale pure emergeva una relazione inversamente proporzionale fra consumo di caffè e rischio di sviluppare un tumore epatico, effetto che sarebbe legato alla azione dei diterpeni cafestolo e kawheolo e delle melanoidine; una rassegna sistematica pubblicata nel 2014 su LiverInt., secondo la quale il consumo di caffè migliora i livelli ematici delle transaminasi in modo dose-dipendente, rallenta la progressione della cirrosi negli epatopazienti cronici, migliora la risposta alla terapia antivirale nella epatite C cronica ed è correlato in maniera inversa alla severità della steatoepatite in pazienti con steatosi epatica non-alcolica.
È sintomatico, infine, il modo nel quale questi ultimi Autori (Saab, Mallam, Cox e Tong) concludono, senza mezzi termini, la loro relazione: «nei pazienti con malattie croniche del fegato il consumo quotidiano di caffè andrebbe incoraggiato».
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