pubblici esercizi
16 Novembre 2016Il bordò, magari non scritto secondo la pronuncia, è un colore, una città e infine un vino. Per me, e forse per chi legge queste poche righe, la graduatoria legata alle interpretazioni della parola viene facilmente invertita, anche se il Bordeaux, da qui in poi parlo esclusivamente di quello in bottiglia, e il pubblico italiano sono da tempo distanti. Non si tratta certo di gusto, visto che anche nel nostro paese, seppur su terreni e a latitudini differenti, ormai da molti anni si producono etichette eccellenti basate sul cosiddetto uvaggio bordolese; blend composto in percentuali variabili da Cabernet Sauvignon, Merlot, completati da eventuali aggiunte di Cabernet Franc e Petit Verdot. Il deficit nostrano legato alla conoscenza, e di conseguenza al consumo del vino prodotto a Bordeaux, è legato al prezzo: alto, altissimo nel caso dei Premieres Grands Crus Classé. Quanto? Vi basti pensare che alcune bottiglie di determinate aziende riferite ad annate specifiche, superano alcune migliaia di euro, a patto per altro di non andare troppo indietro negli anni. Nel recente passato pare che il deterrente pecuniario abbia funzionato, inibendo la richiesta del pubblico di casa nostra rispetto ai vini di questa zona, pur non essendo riuscito ad estinguere l’endemica esterofilia italiana rispetto al vino d’oltralpe.
L’ALTER EGO Il sostituto, al netto della varietà e quindi della cifra stilistica del vino che ne deriva, si chiama Borgogna. L’epica di questo territorio si basa su di un elevato numero di variabili territoriali attorno ad un vitigno solo, il Pinot Nero rimanendo tra le bacche rosse, cui vanno sommate: una maggiore immediatezza gustativa, un prezzo sostenibile e una grande difficoltà relativa alla reperibilità, aspetto – quest’ultimo - che solletica sempre l’enomasochismo di casa nostra.
STRATEGIE DI RIVINCITA Oggi questo teorema risulta tuttavia essere in via di disgregazione, vista l’ascesa rapidissima dei prezzi che ha colpito anche i vini della Bourgogne. Le responsabilità o per meglio dire le condizioni, che hanno contribuito a determinare questo nuovo status sono diverse. Tra esse, non so se sia contestuale o semplicemente casuale, bisogna segnalare quel tentativo di riavvicinamento al mercato italiano, intrapreso dall’Union des Grands Crus de Bordeaux (questo istituto che promuove e tutela l’immagine di numerosi vini appartenenti all’elite produttiva del territorio) grazie alla manifestazione chiamata Week-End des Grands Crus. Sono stato invitato -l’autopromozione finisce al termine di questo capoverso- come testimonial della kermesse, svoltasi all’inizio del mese di giugno. A dire il vero la manifestazione, giunta quest’anno all’undicesima edizione, ha avuto poche possibilità di essere nobilitata dal sottoscritto. Penso che fossero più che sufficienti a qualificarla una sala con grandi spazi, perfetta climatizzazione, servizio non meno che inappuntabile, eccellente pulizia dei bicchieri, oltre a 100 vini appartenenti alle appellations più famose come Pomerol, Pauillac o Saint-Julien solo per citarne alcune. L’evento, pare per altro che abbia colpito nel segno visto che tra i banchi d’assaggio si sentiva parlare spesso in italiano, ha avuto come protagoniste l’annata 2013, oltre ad un millesimo scelto liberamente dalle diverse aziende, qui chiamate châteaux. La vendemmia presentata come ‘prova obbligatoria’ ha messo in luce vini pronti da bere, rispetto alla classica, nonché prolungata, attesa che spesso si accompagna ai vini di Bordeaux, sempre piuttosto lenti a maturare. Tentando di fare un paragone con annate passate trovo la 2013 molto simile alla 2011, alla 2007 e per i gerontofili dei millesimi – immagino molti viste le qualità di durata nel tempo espresse da queste etichette – al 1980 o al 1984. Sul millesimo attualmente in commercio ho trovato molto buone le denominazioni di Saint-Julien, Pauillac e Saint-Émilion. Piacevoli i Sauternes e Barsac, non di solo vino rosso vive quest’area, mentre dietro alla lavagna metterei, con i dovuti distinguo rappresentati da Figeac, Clinet, Rauzan-Ségla e Giscours, Pomerol e Margaux.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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