bevande

24 Agosto 2017

Il cliente? Lo porta il personal food shopper

di Maria Elena Dipace


Il cliente? Lo porta il personal food shopper

Non più solo wedding planner, non più solo personal shopper, ora anche personal food shopper. Ovvero: guidare il cliente alla ricerca del locale ‘perfetto’. C’è qualcuno che ritiene possa essere la professione del futuro, in un’era in cui le cose da fare sono tante, spesso troppe, e il tempo per farle quasi sempre è poco, in cui l’immagine, la passione e la cura dei dettagli giocano un ruolo determinante, in cui il gusto, anche quello per le specialità enogastronomiche più raffinate e ricercate ha ormai bypassato i confini della moda per assurgere a vero e proprio stile di vita. A differenza di quanto accade negli altri Paesi, dove questa nuova ‘guida turistica’ è specializzata esclusivamente nello shopping di abiti e accessori di moda, per quanto riguarda l’Italia e soprattutto in città come Firenze, Roma, Bologna o Milano, siamo in presenza di una domanda turistica culturalmente più evoluta che vuole vivere emozioni ed esperienze anche attraverso prodotti e sapori tipici. Ne parliamo con Alessandra Lepri, giornalista e comunicatrice del settore lifestyle ed enogastronomia, ideatrice nel 2010 del primo corso per diventare personal food shopper tenutosi a Bologna e che ha visto la partecipazione di docenti esperti del settore food&beverage come i giornalisti Giancarlo Roversi e Stefano Buganelli.

Chi è il personal food shopper?
È una figura emergente, una guida particolare che conduce turisti e appassionati gourmand alla scoperta delle eccellenze italiane. Le guide turistiche sono esperte del nostro patrimonio artistico, sono veicoli in grado di fare apprezzare i nostri tesori. In Italia abbiamo anche altri tesori, tutti da comprare, anch’essi veicolo di cultura e tradizione. Mi riferisco alla cucina mediterranea, patrimonio dell’Unesco e veicolo di promozione del nostro Paese in tutto il mondo. E se i grandi marchi della moda, anche italiani, hanno la forza di farsi pubblicità, sono conosciuti a livello internazionale e possono essere comprati ovunque, quando si parla di cucina le cose sono ben diverse. Ecco perché stranieri e foodies si stanno appoggiando sempre di più a questa nuova figura professionale per non perdere la possibilità di gustare quelle tipicità di cui il nostro Paese è leader. Il personal food shopper conosce perfettamente il territorio in cui opera: dalle prelibatezze locali, alle boutique dei sapori, cantine, frantoi, acetaie e, soprattutto, conosce i migliori bar, pasticcerie, ristoranti, trattorie e pizzerie della zona di sua competenza.

Come si muove il food shopper alla ricerca dei locali che andrà poi a proporre al cliente?
Prima di proporsi, il p.f.s. si crea un ricco data base di contatti, una lista di negozi, boutique, bar, ristoranti, cantine, etc... una mappatura rigorosa della città o regione in cui vive. Soprattutto, conosce i piatti tipici, gli alimenti eccellenti, vino, olio, tartufo, formaggi, aceto balsamico, miele e, soprattutto, testa personalmente tutti i punti vendita che propone al cliente.

Quali sono i criteri base nella scelta di un locale?
Cultura del cibo, servizio eccellente, legame stretto con il territorio, unicità del locale.

Che tipologia di locale vi richiedono maggiormente?
I clienti sono molto interessati alle nuove botteghe con cucina, le pescherie che propongono anche piatti preparati con menù tradizionali, cantine che propongono degustazioni, insomma, proposte un po’ particolari ma con un occhio sempre teso alla qualità al giusto prezzo.

Che tipo di accordo viene stipulato tra esercente e personal food shopper?
Ogni locale può stipulare un accordo diretto con il p.f.s. proponendo provvigioni oppure sconti speciali per i clienti. La provvigione, moralmente corretta, può tuttavia inquinare i criteri di selezioni del locale. Un po’ come le guide dei ristoranti, se chi fa le recensioni viene pagato dai ristoratori il messaggio è distorto e il lettore non ha una visione obiettiva. Anche la guida ‘pagata’ non sarebbe attendibile al 100%. L’esercente, tuttavia, è bene che tenga in grande considerazione l’apporto del personal food shopper, trattando al meglio i clienti, riservando loro menù speciali, degustazioni ad hoc o serate dedicate.

In che modo il locale deve tenere informato il personal food shopper degli eventuali cambiamenti o nuove proposte del suo bar/ristorante?
Ci deve essere un rapporto costante. È bene che l’esercente aggiorni sempre il suo ‘consulente’ di tutte le novità in programma. In questo modo il p.f.s. sa esattamente cosa proporre ai suoi clienti.

Quanti personal food shopper ci sono al momento in azione e dove operano maggiormente?
Difficile fare una stima, non esiste un albo, è una professione nuova. I territori privilegiati sono quelli ad alto flusso turistico: le città d’arte, i grossi centri balneari, le località di montagna o le grandi aree metropolitane dove confluiscono i businessman.

Ritiene che la figura del personal food shopper possa diventare come quella del pr?
Con caratteristiche diverse sì. Tuttavia, la ricchezza del p.f.s è la cultura del territorio, l’aggiornamento costante sulle novità. Il pr ha come risorsa principale un elevato numero di contatti. Guai a confonderli!

TAG: CAFFè DIEMME,PERSONAL FOOD SHOPPER,QUALITALY,ALESSANDRA LEORI

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