21 Gennaio 2021
Il sondaggio elaborato da Izi in collaborazione con Comin & Partners e presentato nell’Aprile 2020 dice che in Italia circa 8 milioni di persone hanno sperimentato il lavoro da remoto e che la maggior parte l’ha apprezzata, inoltre evidenzia che il 57% dei lavoratori in smart working sarebbe ben disposto a una formula di lavoro ‘flessibile’ anche una volta superata l’emergenza della pandemia, anche a costo di tagliarsi un po’ lo stipendio. Non è un caso quindi che molte aziende stiano pensando di trasformare una scelta emergenziale in un modello di organizzazione diffusa e agile: per tantissimi impiegati (ma non tutti, ovviamente) si apre un’opportunità di lavorare da casa o da dove si preferisce, anche da un luogo di vacanza, da una seconda casa, da un bar, da una terrazza di un albergo.
SE PIANGI, SE RIDI
E per i nostri bar, la chiusura degli uffici – anche se parziale – che cosa può rappresentare? Per molti questa situazione è una mezza tragedia di fatturati, soprattutto per quei bar che avevano scelto la loro location proprio sotto i grandi palazzi di uffici (magari una grande assicurazione, o una banca nazionale), che ora sono ancora mezzi vuoti. Non c’è da ridere. Ma in tanti bar non stanno neppure piangendo: se una volta la versione del ‘bar sport’ era quella con gli anziani che giocavano a carte per ore, adesso in tante realtà metropolitane il bar è pieno di adulti con i loro PC accesi, che fanno telefonate di lavoro, studenti con i loro libri universitari e il loro tablet, gruppetti di persone che fanno riunioni informali all’aperto mentre prendono un caffè. Potenzialmente una clientela interessante, nomade, mediamente giovane, che è fuori tutto il giorno, che può desiderare dal bar un servizio sfaccettato e profittevole, dall’accoglienza ai servizi di base, come la ricarica del cellulare e del PC, al wifi, alle consumazioni lungo la giornata, dal cappuccino allo spritz, e anche qualcosa di sano ed energetico per il pranzo. Ne vediamo spuntare tanti, nei contesti cittadini e dove ci sono le università; li possiamo chiamare bar con co-working, spazi che offrono un posto tranquillo dove lavorare e studiare, dove gestire un lavoro manageriale da remoto. C’è chi fa pagare le consumazioni e offre lo spazio, c’è chi fa pagare ‘a tempo’ e offre le consumazioni, c’è sempre il wi-fi gratuito per tutti, poi c’è chi ha esposto libri in vendita o book-crossing, chi ha messo zone relax per fare riunioni creative, chi lunghi communal tables per creare networking e fare qualche chiacchera con il ‘vicino di banco’, chi ha messo tanti più tavoli all’aria aperta per scongiurare il contagio.
CERCATE ISPIRAZIONE DA CHI HA GIÀ COMINCIATO
La città più dinamica è Milano, come sempre, che ha diversi posti famosi che già da tempo offrono questo servizio: Coffice, bar nato per il co-working, che offre da sempre una modalità ‘a tempo’ con consumazioni comprese; Upcycling, dedicato agli amanti della bicicletta che hanno bisogno di un posto dove lavorare, ospita anche mostre e concerti; RED Feltrinelli (non solo a Milano) offre uno spazio allargato all’aperto, sotto la grande torre dell’Unicredit; Caffè Gorille, nel quartiere Isola, bistrot rustico con postazioni per lavorare, aperto fino a sera; Open, viale Montenero, 1.000 mq con 40 postazioni per il co-working, stampanti e monitor messi a disposizione dal locale, uno dei più vocati a questo servizio da sempre; Valà, arredato come un salotto comodo per fermarsi a leggere, lavorare e studiare; Pavè, bar pasticceria con comode poltrone e grandi tavoli in condivisione; Aspirin Lifestyle Bookstore, un bistrot-libreria-co-working italo-cinese di 400 mq molto avant-garde; oTTo, a ChinaTown, un bistrot in stile nordico dove si va per lavorare e studiare, anche nel weekend; Moleskine Cafè, a Corso Garibaldi, è un caffè letterario dove si possono anche comprare i famosi taccuini. E tanti altri: andate a vedere i siti web per prendere ispirazione per i servizi, per le tariffe, per il modello di business, per l’ambientazione.
MA NON SOLO A MILANO
A Roma c’è il bar Anticafé, che ha già tre sedi, che offre caffè e bibite, connessione ad alta velocità, snack e giochi da tavolo, con una tariffa di 4 euro per la prima ora e 3 euro a partire dalla seconda ora. Il giornaliero costa 14 euro; Ex-Circus, un bar pieno di divani, aperto dalle 8 alle 22, dove studiare e lavorare nel centro storico; Il Caffè Letterario, che è libreria, negozio di design, caffè e ristorante, spazio per eventi e anche co-working. A Palermo è nato nel mercato storico il bistrot Ballarò, di ben 400 mq, che offre postazioni di co-working e un’area food molto interessante. A Bologna sono tantissimi: Fram Cafè, che offre una selezione di croissant e tanti thè in un ambiente dai colori pastello e mobili vintage; La Gazzetta, un locale grande stile Starbucks con bar e anche ristorante con ottimi vini e birre; Al Carrefour di Porta Castiglione si può consumare e lavorare 24 ore su 24, poiché è dotato di postazioni di lavoro tipo ufficio e tanta offerta di cibi pronti; ITIT, un sandwich cafè frequentatissimo dagli studenti universitari; Paneburro e Wi-fi, e il nome è già tutto il suo business plan, uno smart bar perfetto per lavorare in compagnia. A Firenze Sit’N’Breakfast spazio gradevolissimo per lavorare, con personale sempre sorridente; a Genova Cafhein, un loft modernissimo dall’atmosfera nordica, eppure molto accogliente. E molti altri. Approfondite e ispiratevi.
E POI ORA C’È ANCHE L’APP
Siccome la domanda per gli spazi aumenta e aumentano i bar che vogliono provare ad offrire questi servizi, è nata una start-up che consente di mettere in rete e geolocalizzare i locali, bar (e anche alberghi) che offrono postazioni di lavoro o di studio alternative (e sanificate): si chiama Nibol, è una app italiana che è nata da poco, ma ha già suscitato tanto interesse. Il locale che si iscrive all’applicazione riconosce alla startup una percentuale del ricavo, come succede con Booking o altre piattaforme di prenotazione: il cliente in questo caso prenota a tempo lo spazio, e di conseguenza paga a tariffa oraria o a consumazione obbligatoria. Così non c’è il rischio di presentarsi nel locale e non trovare posto, e il bar sa che ne ricaverà qualcosa. Adesso bisogna solo guardare a chi lo fa già bene, pensare a come far stanziare i nostri potenziali clienti nomadi, mettendosi in gioco e in rete, e realizzare un assortimento di snack e bevande adatti alle tentazioni di chi lavora e studia.
Roberta Parollo
Consulente senior e docente di marketing e comunicazione alla Business School del Sole24Ore, ha lavorato come Direttore Marketing in grandi multinazionali e come consulente strategico in grandi agenzie pubblicitarie. Autrice del Manuale di Gestione della Ristorazione della FIPE, si è specializzata nella consulenza per la creazione della migliore consumer experience nei pubblici esercizi.
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A cura di Matteo Cioffi
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