pubblici esercizi
02 Luglio 2021Export in crescita per la filiera del gelato artigianale. I dati dell’Osservatorio Sigep, raccontano la storia di un successo: dai macchinari, agli ingredienti, fino alle catene in franchising.
Il fatto che il made in Italy piaccia, è sempre stato un Giano bifronte: motivo di orgoglio (e di business), ma anche causa di scontri con imitatori non autorizzati, occasionali o recidivi furbetti della produzione, intenzionati a lucrare sull’italica qualità.
Questa volta, per fortuna, della passione suscitata dai nostri prodotti non possiamo che andare orgogliosi. Stiamo parlando, per l’esattezza, del gelato artigianale e della sua crescente diffusione in Asia e Nord America, come confermato dall’Osservatorio Sigep (il Salone Internazionale di Gelateria, Pasticceria, Panificazione artigianali e Caffè di Italian Exhibition Group).
La dimostrazione? Il fatto che l’export degli ingredienti e dei semilavorati viaggia sulle rotte di Cina e Sud Est asiatico e cresce anche in Medio Oriente. E non basta: le destinazioni estere sono anche appannaggio dei tre quarti dei macchinari per la produzione di gelato, con una ripresa del mercato tedesco e un exploit della Corea del Sud. Infine, un’ultima conferma di questa spinta all’internazionalizzazione, ecco che arriva dalle insegne estere, in aumento negli ultimi 18 mesi a livello globale.
L’export di ingredienti nel 2019 segnava una crescita del 6% sul quadriennio precedente e da lì riparte puntando a Oriente. “Il gelato è meteoropatico, segue la bella stagione a tutte le latitudini – osserva Roberto Leardini, presidente del Gruppo Prodotti per gelato di Unione Italiana Food –, ecco allora la crescita importante che registriamo in Medio Oriente, dove il trend era iniziato prima della pandemia. Cina e Sud Est asiatico sono mercati agli albori: alto potenziale, ancora poche gelaterie”. Anche Stati Uniti ed Europa mostrano vitalità. “Il mercato europeo totalizza circa il 60% dei nostri volumi di produzione. Ricordo che la Spagna è il terzo mercato europeo, dopo la Germania, per il gelato artigianale, il cui potenziale è legato all’economia turistica. Interessante anche la Polonia.
Tra macchine per la produzione e vetrine frigo, il 75% della produzione italiana di tecnologie professionali per le gelaterie esce dal Paese. Il 2021 mostra segnali positivi da Germania, auspica Marco Cavedagni, presidente di ACOMAG, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani di macchine per gelaterie e Corea del Sud). “Bene anche Il Far East, che ha raggiunto il 90% a valore della nostra produzione”- rivela Achille Sassoli de Bianchi, Market Development Director di Carpigiani SpA- oltre a USA e Regno Unito.
Un altro parametro per misurare il tasso di internazionalizzazione del gelato artigianale viene dalle conversioni tra iscrizioni a corsi di specializzazione professionale e nuove aperture commerciali. ”Nell’anno accademico 2018/19 – spiega infatti Kaori Ito, direttrice della Carpigiani Gelato University – abbiamo registrato 6.000 iscritti ai corsi nei 20 campus nel mondo, di questi, il 12%, cioè circa 300, ha confermato di aver aperto un punto vendita. Quanto all’anno accademico 2020/21 dei 1.350 iscritti notiamo che se UK, USA e Canada rimangono nella top ten, c’è sicuramente un balzo dell’India, della Turchia e della Malesia”.
Segnali di crescita anche sul fronte dei punti vendita e questo nonostante il freno fisiologico della pandemia.
“Da un monitoraggio condotto sul network Top International Gelato Chains – spiega infatti Antonio Verga Falzacappa, fondatore di Sistema Gelato – con oltre 600 punti vendita in 30 nazioni, negli ultimi 18 mesi è emerso un saldo positivo del 6%, pari a 36 unità su scala globale. Se teniamo conto che questi investimenti, tra aperture dirette e affiliazioni, si pianificano con almeno un anno di anticipo, possiamo concludere che se non vi fosse stata la pandemia, la crescita del settore sarebbe stata senz’altro più sostenuta.
Particolarmente dinamici Gelato Go (americano , a con radici italiane), le italiane Venchi e La Romana che crescono rispettivamente nel Far East e in Medio Oriente. Infine, il caso della spagnola Borgonesse che conta giusto una decina di punti vendita tra Madrid e l’Andalusia, con una forte impronta manageriale, e che vuol differenziare la propria presenza fuori dai confini nazionali. Sono segnali importanti per il made in Italy perché da una nostra stima, per ogni apertura di un punto vendita all’estero, abbiamo su base decennale un effetto trascinamento di oltre 500 mila euro tra macchinari, vetrine, attrezzature e ingredienti per le nostre filiere”.
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