bevande
19 Agosto 2014Mangiare differente, per scelta o per necessità. C’è chi la chiama cucina mancina (vedi box) e c’è chi non la chiama in alcun modo, perché in fondo, nell’alimentazione come in tutto il resto, come distinguere ciò che è normale da ciò che non lo è? Fatto sta che sommando le varie “nicchie alimentari” (vegetariani, vegani, intolleranti e allergici a varie sostanze) il risultato può essere interessante sia dal punto di vista dell’offerta sia da quello del business. Abbiamo chiesto a due pubblici esercizi che con diverse sfumature si rivolgono a clienti con esigenze particolari di raccontarci filosofia, strategie, problematiche e vantaggi delle loro attività.
IL FRULEZ DI BARI
Il Frulez di Bari è aperto tutto il giorno: serve colazioni, pranzi, aperitivi e cene, e funge da bar, bistrot, gelateria oltre che da take away e consegna a domicilio. L’intero progetto è incentrato sulla frutta e la verdura: «Abbiamo voluto ripensare in modo diverso l’utilizzo in cucina di frutta e verdura, trasformandole da contorno o fine pasto a centro dell’alimentazione» spiega l’amministratore unico Lorenzo Diomede. «è proprio l’utilizzo di frutta e verdura in quasi tutte le nostre proposte a facilitare l’assenza di lattosio e glutine, consentendoci in maniera naturale di soddisfare numerose esigenze alimentari». Sul menu, accanto a ogni piatto ci sono uno o più simboli che illustrano le sue caratteristiche: biologico, vegano, senza lattosio, vegetariano e senza glutine. «Ma non abbiamo calcato la mano sull’aspetto delle intolleranze» precisa Diomede. «Non volevamo dare al locale un aspetto ‘sanitario’. Vogliamo che tutto quello che viene fatto qui sia gustoso per tutti. La clientela si suddivide equamente fra le varie categorie: vegetariani, vegani, chi ha gusti alimentari differenti, chi vuole mangiare qualcosa di leggero, e chi ha intolleranze. Siamo per la e, non per la o. Facciamo per esempio una moussaka vegetariana che viene apprezzata anche dagli ‘onnivori’, i quali probabilmente non si accorgono neanche dell’assenza di carne».
Dunque l’accento, anche da un punto di vista comunicativo è sull’inclusione e la trasversalità piuttosto che sulla nicchia un po’ autoghettizzante. Nessun target preciso, ma invece una sorta di ‘selezione naturale’: «Nel corso dei primi sei mesi di apertura abbiamo cercato di far autoprofilare la clientela lasciando l’esterno del locale senza insegna» racconta Lorenzo Diomede. «Sono arrivate prima le donne, e da lì è iniziato il passaparola, anzi, il ‘ti porto io’, nel senso che le prime clienti non si limitavano a segnalarci agli amici ma li accompagnavano fisicamente nel locale.
Non abbiamo mai fatto iniziative di comunicazione, nemmeno sui social network, limitandoci solo a partecipare ad alcuni eventi che sentivamo affini alla nostra filosofia.
Abbiamo invece curato la comunicazione interna, inserendo nei menu e nel locale stesso abbondanti informazioni sulla nostra offerta.
Il resto è venuto quasi tutto da sé, compresi i contatti con l’Associazione Italiana Celiachia e con Vegan ok, al cui disciplinare sono conformi i nostri piatti vegani: sono stati loro a cercarci».
IL KITCHEN DI MILANO
Il Kitchen di Milano è stato nel 2004 uno dei primi ristoranti per celiaci, e il primo in Italia a fare catering gluten free. Sul menu i piatti contrassegnati con un pallino verde sono quelli naturalmente senza glutine, e quelli con un pallino arancione sono senza glutine in seguito a una modificazione della ricetta. La cucina inoltre si rifornisce dall’orto dell’azienda agricola della famiglia Temporiti, in cui è bandita qualsiasi sostanza chimica.
«Appena abbiamo aperto ci siamo resi conto che quella dei piatti senza glutine era una richiesta in crescita» racconta lo chef Massimo Temporiti. «La mia laurea in Scienze Alimentari ha fatto il resto, dandomi una sensibilità rispetto alle limitazioni alimentari».
La cucina senza glutine implica accorgimenti logistici differenti a seconda dei casi: «Quanto al catering, tendiamo a farlo tutto senza glutine, il che semplifica le cose, eliminando inoltre il problema del pasto servito separatamente ai celiaci, che può essere spiacevole, soprattutto se si tratta di bambini. Quanto invece al ristorante, in cucina ci sono delle casse con dentro tutta l’attrezzatura necessaria per produrre le pietanze senza glutine. è una specie di cucina nella cucina, separata. Inoltre, i piatti (nel senso dei recipienti) per celiaci sono di colore diverso dagli altri, per evitare così distrazioni da parte del personale, che si ricorderà di lavarsi le mani se per esempio ha appena tagliato il pane».
Diverse procedure, diversi ingredienti: tutto questo ha un costo, che non viene ricaricato sui clienti celiaci. Ma la sorpresa è che anche i non celiaci amano provare i piatti senza glutine. Un buon segno, perché evidentemente si tratta di pietanze invitanti e gustose, ma anche un potenziale problema economico, al quale bisogna in qualche modo fare fronte. «Il senza glutine ci costa mediamente il 15% in più» dice Temporiti. «Al Kitchen non si paga coperto, ma ci riserviamo di far pagare un coperto discrezionale di uno o due euro a chi ordina piatti senza glutine pur non essendo celiaco: c’è infatti chi lo fa per moda o per curiosità». In ogni caso, l’avere un’affidabilità riconosciuta e una clientela consolidata nell’universo celiachia si traduce in un incremento molto interessante della clientela. «Abbiamo degli ottimi riscontri, perché oggi oltre il 30% della nostra clientela mangia senza glutine. La promozione avviene totalmente tramite il passaparola, ma ci aiuta anche la nostra collaborazione con l’AIC (Associazione Italiana Celiachia), perché l’elenco ristoranti sul suo sito è stato replicato da molti altri siti sulla celiachia sorti successivamente».
Cucina Mancina è una food community dedicata ai “mancini alimentari”, cioè gli intolleranti e gli allergici, i diabetici e i colesterolemici, ma anche gli ipertesi, i vegetariani e i vegani. Le problematiche con cui queste persone devono convivere variano dalla difficoltà nel reperimento di ingredienti e ristoranti che facciano al caso della propria dieta, alla scarsa soddisfazione nel mangiare dovuta alla poca varietà o alla mancanza di gusto delle ricette “potabili”.
Da qui l’idea di Cucina Mancina, che, prima con un fortunato libro/ricettario (“Eat different”, Gribaudo Editore, 160 pagine, 14,90 euro) e poi con una piattaforma virtuale, propone soluzioni creative per la comunità dei mancini alimentari e per tutti i “curiosi alimentari”.
Le ricette, curate da una rete di esperti foodblogger e validate dal punto di vista nutrizionistico, possono essere selezionate sulla base di un filtro personalizzabile (“vegetariano”, “vegano”, “pochi grassi”, “pochi zuccheri”, “poco sodio”, “curioso alimentare” più nove diversi tipi di allergie o intolleranze) che consente a chiunque di trovare quelle adatte al proprio stile alimentare.
Il secondo elemento caratteristico di Cucina Mancina è lo Store Locator, cioè un database, in fase di lancio e in continuo aggiornamento, che raccoglie migliaia fra negozi e ristoranti specializzati nella vendita di cibi per i differenti regimi alimentari (inizialmente la regione più rappresentata è la Puglia, mentre il resto d’Italia è coperto a macchia di leopardo). Anche in questo caso il database è consultabile attraverso una serie di filtri che permette agli utenti di effettuare una ricerca personalizzata.
I negozi e i ristoranti possono essere segnalati dai loro titolari o da utenti e membri della community. In questo secondo caso, lo staff di Cucina Mancina contatta i titolari per verificare la correttezza e la completezza dei dati, e per informarli delle due modalità in cui possono partecipare alla community. Qualsiasi esercizio citato può infatti utilizzare il sito gratuitamente per presentare ricette o condividere altre notizie di interesse. Chi invece fosse interessato, può poi aprire alle prenotazioni online: per ogni prenotazione confermata attraverso il sito, il ristorante riconoscerà a Cucina mancina una percentuale.
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