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li attentati di Parigi hanno sconvolto il
mondo, seminando comprensibili nuove
preoccupazioni e paure tra la gente, po-
nendo interrogativi sul futuro di pace e
di rispetto tra i popoli, senza i quali non
cresce nessuna civiltà.
I fatti terroristici hanno avuto come diretto bersaglio
anche le nostre attività,
mettendo in apprensione ope-
ratori e in discussione, invece, un modo di vivere, che
fa della convivialità, della socialità, dello stare insieme
un elemento di forza delle società occidentali.
I teatri e i ristoranti, cioè, sono colpiti non solo per-
ché bersaglio facile ed indifeso, ma anche perché
costituiscono la manifestazione più naturale di un
modo di concepire la vita, dove la musica, lo spetta-
colo, la cucina, l’intrattenimento in genere, esprimono
fattori di aggregazione, di dialogo, di confronto, di
rafforzamento di sentimenti di rispetto e amicizia, di
accrescimento culturale, evidentemente non apprezzati
ed osteggiati da chi ha visioni ed orientamenti diversi
sui comportamenti sociali.
Non voglio perdermi in ragionamenti lontani dalle
mie competenze, ma riprendere una riflessione su atti
terroristici che potrebbero avere effetti devastanti sul
nostro lavoro, non solo per le paure che generano,
che sono un deterrente per i consumi, ma anche per
le deviazioni di flussi turistici che inducono.
Il boom turistico italiano dell’estate 2015
ha avuto
motivazioni diverse: un’accresciuta fiducia sulle pos-
sibilità di ripresa economica, che ha favorito le spese
per vacanze, il bel tempo, la svalutazione dell’euro,
soprattutto nei confronti del dollaro americano, il calo
del prezzo del petrolio e altri fattori.
Hanno sicuramente influito anche le tensioni causate
dagli attentati e dai venti di guerra che stanno inte-
ressando vaste aree del pianeta a forte propensione
turistica (Tunisia, Egitto, Grecia, Turchia, etc.), che
hanno consigliato mete più sicure per le vacanze, con
l’inserimento dell’Italia tra le destinazioni preferite.
Certamente i sistemi di sicurezza affidati alle nostre
Forze dell’Ordine costituiscono una garanzia, ma oggi
è impossibile garantire una sicurezza assoluta ed esiste
solo un grado di insicurezza, con diverse gradazioni
di rischio.
E’ necessario, quindi, fare investimenti sulla si-
curezza delle nostre aziende,
e di chi le frequenta,
rivedendo e pianificando anche nuove ipotesi di rischio.
Non è allarmismo, ma la presa d’atto di un contorno
profondamente cambiato, che va affrontato con un
approccio professionale e qualificato, che impone in-
vestimenti sulla prevenzione, formazione e capacità
di intervento sulle emergenze, anche estreme come
Parigi insegna.
Guai però a snaturare le nostre attività,
che devono
continuare ad essere luoghi di incontro, di animazione
e sano divertimento, di buona cucina e cantina, sui
quali sviluppare valori economici, ma anche sociali.
Le buone relazioni, i giusti sentimenti, l’evoluzione
culturale ed eno-gastronomica dei popoli, si sono
diffuse e rafforzate anche frequentando i Pubblici
Esercizi, luoghi di contaminazione sociale, che ha
portato solo benefici.
Sarebbe imperdonabile trasformare i luoghi pubblici
in bunker difficilmente accessibili e sorvegliati, di-
sperdendo il loro forte ruolo di aggregazione sociale.
La forte componente etnica occupata nelle nostre at-
tività, come dipendenti o imprenditori sempre più
qualificati ed intraprendenti, rappresenta la risposta
più civile e naturale a chi si oppone ai cambiamenti
antropologici, che stanno nella storia dell’uomo, con
l’incrocio di razze, culture, tradizioni, costumi, idee,
credenze, valori, norme, anche religioni, che hanno
evoluto sempre in meglio la specie umana.
Terrorismo e Pubblici Esercizi
Il punto
del presidente FIPE
Lino Enrico Stoppani
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Mixer
DICEMBRE/GENNAIO 2016
Cordialmente.