bevande
20 Settembre 2016«Fare una panoramica degli ultimi 30 anni, di così ampio spettro, sul fenomeno della ristorazione in franchising – è la riflessione di Italo Bussoli Presidente Assofranchising – è cosa ardua, specie se pensiamo che questa formula imprenditoriale ha visto il suo arrivo in Italia da poco più di 40 anni e quindi rispetto ad altre consolidate realtà e soprattutto statistiche di mercato ha avuto un iniziale periodo di approccio, che via via si è perfezionato. Ciò nonostante è possibile tracciare una curva di netta crescita a partire dalle primissime rilevazioni che Assofranchising ha fatto nel 1993 e tuttora continua a fare in collaborazione con l’Osservatorio Permanente sul Franchising dell’Università La Sapienza di Roma, che sono ad oggi l’unica riconosciuta fonte a livello italiano e internazionale dei dati di settore. E i numeri raccontano una storia che e partita da una manciata di insegne franchisor, che in alcuni casi suscitano anche nostalgia, come il famoso Burghy, e che nel 1993 contavano poco più di un centinaio di punti vendita affiliati attivi su tutto il territorio italiano. Solo pochi anni dopo però lo scenario è completamente cambiato. Nel 1996 i punti vendita sono più che triplicati e le insegne iniziano a prendere piede in modo consistente. McDonald’s acquista Burghy e lancia la sua espansione italiana, ma anche insegne nostrane come Segafredo Zanetti e Spizzico aumentano il numero di punti vendita in franchising.
Il decennio successivo è quello della conferma e di un modo di fare ristorazione che è premiato non solo dai numeri, ma anche dalle abitudini alimentari, che si modificano (senza mai stravolgersi del tutto) in linea con i mutamen- ti della nostra società. Arriviamo così a 700 punti vendita nel 2001 e quasi il doppio solo cinque anni dopo. Il franchising della ristorazione incide ancora in modo marginale nel fatturato complessivo dell’affiliazione commerciale (4%) ma è solo questione di tempo. Nel 2009 e al 7%, con 100 insegne attive per 2.600 punti vendita affiliati. La crisi è cominciata, ma la ristorazione in franchising non perde smalto e nei successivi tre anni mantiene le posizioni con un’unica positiva eccezione: i format proposti. I Franchisor infatti diventano quasi 150: sushi, tex-mex, piadineria, yogurterie, pub, enoteche, american diners – e poi gli ultimissimi bar vegani o gli smoothies bar – sono la linfa vitale che fa prosperare ancora questo modo di intendere e proporre al mercato ed al consumatore la ristorazione. I dati di chiusura del 2015, divulgati in occasione di Franchising&Retail Expo di Bologna del 28-30 aprile attestano 160 franchisor, 3.700 attività di ristorazione affiliate e un giro d’affari di quasi 2.5 miliardi di euro, ovvero il 10,4% di tutto il franchising italiano. Con questi numeri la vera sfida del futuro non sarà perciò solo quella di crescere ancora nel mercato domestico, ma di esportare, voi aziende e ristoratori italiani, la vostra cultura culinaria e il vostro knowhow. Ad Assofranchising il compito di assistervi nel miglior modo possibile».
Ristorazione, l’importanza di guardare al domani
Luca Fumagalli (a.u. Dif): “ecco perché il franchising è una risorsa”
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