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12 Dicembre 2013Non è facile averla vinta contro lo spreco alimentare. Perché è una cattiva pratica fin troppo diffusa e su tutti i livelli.
E i numeri non fanno che confermarlo con impietosa lucidità.
Parlando di spreco alimentare non si fa riferimento esclusivamente al cibo, sic et simpliciter, ma anche a tutte le risorse che contribuiscono a produrlo, confezionarlo e distribuirlo come l’acqua, il terreno, i materiali d’imballaggio, l’energia.
Vediamo qualche dato, giusto per inquadrare meglio il problema: secondo il rapporto WWF, realizzato con la collaborazione scientifica della Seconda Università di Napoli, per esempio, nel 2012 in Italia si sono sprecati 1226 milioni di metri cubi d’acqua, utilizzata per produrre cibo che poi è stato gettato senza essere consumato. Di questi, 706 milioni di m3 sono da “Imputare” ai consumatori, mentre 520 milioni di metri cubi al percorso lungo la filiera, prima ancora di arrivare nelle case.
E non basta: sul fronte delle emissioni di CO2, sono 24,5 milioni (pari a circa il 20% delle emissioni di gas serra del settore dei trasporti) le tonnellate immesse inutilmente in atmosfera per produrre beni alimentari sprecati.
Di queste 14,3 milioni di tonnellate sono da associare al cibo sprecato dai consumatori e 10,2 milioni alle perdite lungo la filiera alimentare.
Per non parlare poi dell’azoto reattivo (quello contenuto nei fertilizzanti) che, nel 2012 è stato sprecato in un quantitativo pari a circa 228.900 tonnellate (143.100 tonnellate sprecate dai consumatori, 85.800 tonnellate lungo la filiera), vale a dire che il 36% dell’azoto immesso nell’ambiente, poteva essere evitato.
Quanto al cibo vero e proprio, i dati di Gfk Eurisko non lasciano certo tranquilli. Emerge infatti che ogni anno in Italia le famiglie italiane buttano complessivamente in pattumiera 1,19 milioni di tonnellate di cibo per un totale di circa 7,65 miliardi di euro. E che ogni famiglia spreca in media ogni anno 48,6 Kg di cibo, pari a circa 316 euro.
Cifre da capogiro. E il tutto, ovviamente, a spese dell’ambiente.
Che, però, ha cominciato a presentarci il conto. E salato, anche.
Sarà per questo che di riduzione dello spreco si parla sempre più spesso, anche a livello Istituzionale.
È, infatti, del 2012 la risoluzione del Parlamento europeo che inserisce questo tema nell’agenda politica europea, trattando tutti gli aspetti fondamentali sul tema dello spreco alimentare, dalla questione del packaging, ai metodi di distribuzione, alle politiche delle grandi catene di supermercati fino al sostegno alle iniziative dei cittadini e delle associazioni.
[caption id="attachment_16166" align="aligncenter" width="400"] Fonte: GFK-Eurisko- WWF in collaborazione con Auchan e Simply[/caption]
I consumatori e lo spreco
In questo contesto di maggiore allerta in cui ci troviamo tutti, diventa importante capire quale sia la posizione dei consumatori, destinatari degli alimenti prodotti, distribuiti e venduti e – a loro volta- produttori di scarti di vario genere.
È stata dunque condotta con questo obiettivo la ricerca di GfK Eurisko per conto del WWF Italia, in collaborazione con Auchan e Simply.
Su un punto, innanzitutto, l’accordo è pressoché unanime (sostenuto dal 90% del campione): lo spreco è un problema serio. Particolarmente convinti di ciò i giovani sotto i 35 anni, laureati e originari del Meridione.
Quanto all’attribuzione di responsabilità c’è pure una certa chiarezza: il 66% degli intervistati ritiene che i principali colpevoli siano i cittadini stessi (si evince da questo dato come i consumatori siano oggi pronti a riconoscere che anche i propri “micro comportamenti” possano avere un impatto significativo); il 27% pensa invece che la colpa sia della gd e solo il 7% la attribuisce ai produttori.
Naturalmente una sensibilizzazione dei cittadini potrebbe essere di grande aiuto. Almeno questa è l’opinione del 91% degli intervistati. Ma a chi spetta “informare”?
Su questo tema pare si preferisca giocare in casa: i cittadini stessi sono infatti indicati come ideali comunicatori, di gran lunga preferiti ai media, alla distribuzione o ai produttori.
Un dato interessante che innesca però un dilemma non di poco conto: si tratta di un’ulteriore assunzione di responsabilità da parte del cittadino sempre più “consapevole di sé” o non- piuttosto- di un atto di sfiducia verso tutti gli altri attori della filiera?
Detto questo, è veramente sempre virtuoso l’atteggiamento dei consumatori?
Beh, a fasi alterne. Pare infatti che mentre il 54% del campione ha l’abitudine di controllare quasi quotidianamente il cibo in frigo (con picchi più alti tra donne, casalinghe, pensionati e single) c’è pure un buon 46% (per lo più uomini con un reddito elevato) molto meno diligente. E cosa molto simile accade per la dispensa dove i controlli sono molto meno frequenti e addirittura per il 35% (si tratta di elites, con elevata capacità di spesa) avvengono anche ogni 2/3 mesi.
Una cosa comunque è certa: la maggior parte del campione (60%) è in grado di fare una buona autoanalisi, fornendo una stima veritiera del proprio spreco, mentre il 31% si crede più sprecone di quanto sia in realtà. Più preoccupante (ma per fortuna si tratta di una percentuale ridotta) è quell’ 8% convinto di sprecare meno di quanto invece faccia.
Ad ogni buon conto in linea di massima gli italiani sono più responsabili che in passato. E non solo per quanto attiene alla raccolta differenziata: nel 2000 era fatta dal 49%, nel 2012 siamo a quota 78%, ma anche per quanto riguarda gli sprechi di denaro, di acqua, di luce e di imballaggi.
Insomma il mood sembra positivo, speriamo prosegua così.
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