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16 Febbraio 2023Campionessa di brewing, barista, imprenditrice e mamma di due bambini: Elisa Urdich, dalla sua caffetteria specialty di Treviso, in qualche modo diventa un bell’esempio in un Paese che non è per donne (lavora meno di una su due). Elisa però riesce a far stare tutto insieme. Grazie a un grande aiuto dai genitori nella gestione famigliare (i nonni, l’ammortizzatore sociale numero 1 in Italia) ma anche a una gigantesca dose di passione e determinazione, che traspare da ogni sua parola. A lei abbiamo chiesto come è entrata nel mondo specialty e come si propone oggi il caffè speciale in Italia nel proprio locale.
Raccontaci un po’ come hai incontrato il caffè specialty
Mi sono diplomata all’alberghiero e ho sempre lavorato nel mondo del bar, prima con mia mamma per cinque anni, poi come responsabile in un altro locale. Facevo la barista come fanno molti, in maniera un po’ approssimativa. Poi nel 2014 a Sigep ho vinto un contest per principianti di Latte art e questo mi ha permesso di fare il primo corso con dei professionisti, con Andrea Antonelli a Milano, ed è stata la svolta: ho incontrato tanti ragazzi appassionatissimi di caffè e ho capito che c’era tanto da imparare su questo prodotto e che io non ne sapevo nulla. Così ho iniziato a frequentare diversi corsi e fiere del settore e ho scoperto il mondo gare, qualificandomi alla finale italiana di Latte art nel 2015. Ho lasciato il mio lavoro per dedicarmi alla formazione, con Andrej Godina ho fatto un percorso formativo di sei mesi, ho fatto i moduli di SCA fino ad arrivare al Coffee diploma.
Sei stata anche all’estero?
Nel 2015 ho incontrato Sasa Sestic che quell’anno era diventato campione mondiale barista. Mi ha chiesto di fare un’esperienza in Australia nei suoi locali e ho accettato al volo. Sono volata a Canberra e per un anno ho lavorato lì, in parte con il mio compagno Fabio (Tiralongo, ndr). La nostra idea era di restare in Australia per un po’ ma la vita ha scelto per noi: abbiamo scoperto di aspettare un bambino e siamo tornati in Italia. Nel 2017 è nato nostro figlio. Abbiamo deciso di restare a Treviso, abbiamo trovato un posticino carino in centro città e, il 9 dicembre 2017, abbiamo aperto Taste, la nostra caffetteria specialty. Due anni fa abbiamo fatto un ulteriore passo aprendo Taste Roastery, seguendo così una parte in più del nostro lavoro che è la tostatura. Se ne occupa Fabio.
Ci sono state altre gare?
Nel 2019 sono arrivata quarta alla mia prima gara di brewing e nel 2020 ho vinto il campionato italiano Brewers cup. Dopo è arrivato il Covid e finalmente a ottobre 2021 ho avuto l’onore di rappresentare l’Italia per questo specialità al mondiale a Host a Milano e sono arrivata 13a. L’anno scorso ho deciso di non partecipare alle gare perché aspettavo il secondo figlio, idem quest’anno ma non vedo l’ora di tornare in pedana l’anno prossimo, o di aiutare qualcuno nella progettazione di una gara.
Essere donna ti ha creato problemi in questo mondo?
Devo dirti che non ho mai avuto grandi difficoltà anche quando ero in Australia, dove magari il mondo del bar era un pochino più maschile ma zero problemi: lì se vali fai carriera, che tu sia donna o uomo, non fa differenza. In generale c’è un pochino più di difficoltà nell’essere donna imprenditrice, mamma, quello sì. È difficile soprattutto se non hai degli aiuti, nel mio caso i miei genitori sono l’àncora di salvezza e il nostro aiuto più grande, senza di loro tante cose non avremmo mai potuto farle, ci danno una mano con i bambini che sono un impegno impressionante, ciò ci ha permesso di concentrarci sul lavoro e sulla gare. Con le giuste combinazioni e aiuti si può essere donne imprenditrici e mamme, ma capisco che se una ragazza non ha questa fortuna deve fare delle scelte tra famiglia e lavoro e non sempre si riesce a fare tutto quello che si vorrebbe, e forse è il motivo per cui non ci sono così tante donne in generale nel nostro mondo. Per la donna il lavoro è un argomento macro, non solo nel mondo della ristorazione.
Il tuo caffè speciale?
Quello con cui ho vinto il campionato italiano per la Brewers cup nel 2020, un caffè dall’Equador, Florida dal nome della finca. Era un caffè molto particolare, super balsamico, fruttato, lo porto nel cuore perché mi ha permesso di vincere ma anche perché a livello aromatico è stata una delle prime tazze che mi capitava di assaggiare con quelle note così balsamiche.
Oltre alle gare, la sfida è proporre specialty in Italia.
È una grande battaglia far avvicinare le persone al mondo specialty della degustazione! A cinque anni dall’apertura è ancora difficile, l’approccio dell’italiano medio al bar è completamente diverso dal turista o dal consumatore straniero, bisogna sempre accompagnare il cliente. In questi anni abbiamo anche cambiato l’approccio con il cliente che arriva per la prima volta da Taste, gli facciamo sempre scegliere il caffè chiedendogli, in modo molto veloce e easy, se vogliono un caffè più strutturato e amaro o più aromatico e dolce, e al cliente si accende la lampadina e dice “oh, come mai mi fanno scegliere qualcosa?”. E lì li guidiamo, abbiamo una lavagna dove scegliere sempre quattro origini diverse, ognuna con il suo prezzo e cerchiamo di far capire che il caffè ha diverse sfumature aromatiche e che bisogna sceglierlo, come il vino o la birra, assaggiare, capire cosa ci piace e non ci piace e poi le volte successive diventa un po’ più facile, per loro scegliere e per noi consigliare l’origine migliore.
Dal 2017, quando avete aperto, è cambiato qualcosa?
Sì, ci sono sempre più persone attente che hanno voglia di capire cosa bevono e cosa mangiano ed è un pochino più semplice adesso rispetto a cinque anni fa, anche perché ormai le persone ci conoscono, sanno che non siamo il bar tradizionale, che ci sono prezzi e un’esperienza diversi.
Che prezzi avete?
Partiamo da un prezzo base di 1,50 euro per l’espresso singolo e da lì a salire: ad esempio l’Etiopia ora è a 2 euro, il Kenya a 3 euro ma in questi giorni avevamo messo un Perù Gesha (“lo Champagne dei caffè”, ndr) e lo vendevamo a 8 euro per il doppio espresso. Abbiamo una gamma di prezzi diversa in base ai caffè che decidiamo di mettere in degustazione. Idem per il filtro che va dai 4,50 ai 6 euro, ma un caffè da competizione può arrivare a 20 euro. Per il cappuccino partiamo da 1,80 fino ai 5 euro per un Flat White con un caffè del Kenya.
Come vi approcciate al cliente?
Credo che un po’ il segreto e la cosa che ci contraddistingue anche rispetto ad altre caffetterie specialty italiane è il fatto che cerchiamo sempre di accompagnare il cliente, spieghiamo cosa stiamo facendo, abbiamo le origini di caffè che cambiano costantemente con dei lotti molto piccoli e facciamo girare molti caffè e ogni volta diamo una piccola descrizione o a voce o a lavagna. Guidiamo la degustazione, che sia di espresso, moka o filtro, se c’è un caffè con delle acidità importanti le spieghiamo al cliente, cerchiamo di dare sempre valore a ciò che facciamo. Lasciamo libertà al cliente di scegliere il metodo di estrazione e naturalmente consigliamo di assaggiare senza zucchero - lo abbiamo, nascosto ma ce l’abbiamo - non è un obbligo ma cerchiamo di far capire che un caffè può essere degustato senza zucchero, e spesso ci riusciamo e siamo molto felici di questo.
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