caffè
10 Marzo 2014Una risposta a Tim Wendelboe e ai suoi ingenerosi giudizi sull'espresso italiano
Il sabato mattina è forse il momento più adatto per scorrere le riviste di settore, italiane e straniere. Nella tranquillità casalinga, inizio a leggere una lunga intervista a Tim Wendelboe pubblicata su Crema, un bel magazine tedesco dedicato ai coffee lovers.
Non conosco di persona Tim Wendelboe. So che è norvegese ed è arrivato primo al World Barista Championship del 2004 e che l’anno successivo ha anche vinto il World Cup Tasting Championship. So anche che è proprietario di un bar e di una torrefazione a Oslo e che si vanta di selezionare caffè straordinari da lavorare solo come monorigini (perché la miscela a suo dire non esalta le specificità dei chicchi). E da oggi so anche che in Italia si è trovato male. Ma davvero tanto male.
Di noi italiani dice che abbiamo perso l’orgoglio e aggiunge che «è abbastanza vergognoso vedere quanta spazzatura sia offerta». Tira poi fuori dal cappello un grande classico «Fino a poco tempo fa i comuni stabilivano il prezzo massimo per il caffè, cosa che ha reso impossibile l’utilizzo di materia prima di grande pregio». Per essere più chiaro sottolinea che «l’Italia non è un paese interessante per l’amante del caffè, in quasi nessun caso».
Ma se in Italia si è trovato male in generale, chissà cosa gli hanno combinato al Sud. Che il nostro espresso non avesse soddisfatto il palato di Wendelboe mi era evidente, meno che fosse anche un fine sociologo ed economista. Arriva ad affermare che «più si va al Sud, più la gente diventa povera. Tradizionalmente comprano più Robusta, che deve essere di per sé tostata un po’ più scura. Il gusto (sic) meno pregiato degli Arabica utilizzati viene coperto con l’aroma del tostato. Con un po’ di zucchero, voilà, sembra quasi un buon caffè». Di fronte a questa spietata analisi segue un siparietto lezioso. L’intevistatore gli domanda: «Non credo abbia quindi amici napoletani». E Wendelboe risponde: «Comunque non torrefattori. Dovrebbero dedicarsi al vino e alla pizza, ne capiscono di più».
Mark Twain affermava che per avere successo nella vita servono due cose: ignoranza e fiducia in se stessi. Con tutto il rispetto dovuto a un divo acclamato dalle folle, mi sembra di riscontrare la verità della valutazione di Twain: di fiducia in se stesso Wendelboe non manca, ma anche di ignoranza certo non difetta.
Non mi riferisco a un’ignoranza generalizzata, sono certo sia un profondo conoscitore delle sue cose. Ma quando avrà tempo, lo invito a conoscere un po’ meglio anche le nostre: sono d’accordo che il caffè in Italia non sia al suo massimo storico, ma posso assicurargli che abbiamo ancora miscele di cui vantarci (e tra l’altro mi scuso con lui se continuiamo a fare miscele, ma siamo convinti che sia l’unione di differenti origini a donare complessità al caffè finale).
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org
Chi fosse interessato a contattare l’autore può farlo scrivendo a: carlo.odello@assaggiatori.com
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A cura di Matteo Cioffi
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