soft drink
17 Ottobre 2023Quando nel 2007 Tim Warrillow ha deciso di introdurre le prime bibite Fever Tree sul mercato italiano, era sicuro di puntare sul cavallo giusto. A distanza di oltre quindici anni, il suo istinto di manager gli ha dato ragione e oggi la marca, che lui stesso ha fondato nel 2004, ha nell’Italia il suo fiore all’occhiello, nonché primo mercato a livello europeo.
Ce lo rende noto in questa intervista che ha concesso a Mixerplanet, avvenuta a Milano all’interno di una delle eleganti salette riunioni di Casa Cipriani, hotel-club di lusso aperto un anno fa in Via Palestro 24. Una chiacchierata a tre, considerando che, ad alcune nostre domande, ha risposto Filippo Colombo, a sua volta presente all’incontro e general manager della consociata italiana del marchio inglese di bevande toniche.
Innanzitutto, piccolo passo indietro: quando avete deciso di esordire in Italia, quali erano le motivazioni di base?
T.W. "In primis, sapevamo di debuttare in un Paese da sempre attento alla qualità del food&beverage. Noi avevamo bibite premium in portafoglio, c’è sembrato un ottimo punto di affinità. Ma non solo, l’Italia è la capitale mondiale dell’aperitivo, quindi imprescindibile non esserci quando si è produttori di toniche e soft drink. In pochi anni Fever Tree ha conquistato la Penisola italiana che rappresenta oggi il nostro primo mercato in Europa, seguito da Belgio e Spagna. Preciso che il giro di affari della nostra marca è suddiviso equamente tra Europa, Uk e Stati Uniti".
Ma quindi conferma che gli italiani prediligono l’alto di gamma?
F.C. "Diciamo che prodotti con posizionamento premium suscitano un grande appeal. Tenga conto che abbiamo debuttato sul mercato italiano in una fase storica in cui nel settore delle bibite toniche e sodate dominava un solo e unico player. Passo dopo passo, Fever Tree si è conquistato la sua market share, anche grazie ad alcune partnership strategiche. Tra queste, quella siglata con il mondo dell’alta ristorazione e alcuni suoi illustri protagonisti, con l’intenzione di diffondere le nostre bevande in ambiti ben specifici e dove la qualità del cibo è atout fondamentale. Oggi siamo fieri di affermare che Fever Tree è un brand conosciuto dagli italiani e, come avviene per il gin, sono sempre di più coloro che avvicinandosi al bancone dei bar lo richiedono esplicitamente".
I canali di vendita principali sono due, quello moderno e il fuori casa. In Italia com’è distribuito il vostro fatturato?
T.W. "Questa domanda ci permette di evidenziare un fatto particolare. Se sul mercato italiano l’85% delle vendite è generato nell’Horeca, in altri paesi il contesto è ben diverso. In Gran Bretagna e Stati Uniti, infatti, la quota dei due canali è pressoché la medesima. Ciò dimostra come per inglesi e americani bere tra le mura di casa, soprattutto cocktail con acqua tonica, è un rituale di lunga data. In Italia il consumo domestico è inferiore, ma sta prendendo piede, alla luce di una pandemia che ha favorito questa abitudine".
Qual è la referenza Fever Tree che in Italia è più richiesta dal mercato?
F.C. "Secondo i nostri studi, l’Indian Tonic Water sviluppa il 37% delle vendite globali della marca, ma tale leadership è messa a dura prova dall’avanzare della Mediterranean Tonic Water che conferma come, anche da noi, il trend delle bevande a forte essenza agrumata sia in ascesa. Notiamo, inoltre, una richiesta crescente della Ginger Beer, trainata da una riscoperta del Moscow Mule tornato a essere tra i drink più gettonati nei locali della nostra penisola. Aggiungo infine la Pink Grap Fruit, a sua volta favorita dal successo di drink freschi come il Paloma".
Ci sono novità in arrivo che riguardano il mercato italiano?
T.W. "Stiamo attualmente valutando l’eventuale ingresso della referenza Mexican Lime Soda, tonica pensata per abbinarsi con la tequila e, in questo momento, in commercio esclusivamente sul mercato inglese. In Italia potrebbe arrivare già nei primi mesi del prossimo anno".
Come state gestendo il problema dei rincari delle materie prime?
T.W. "Con affanno, come tutti. Siamo però usciti dalla fase più critica, ovvero quella in cui, fino allo scorso anno, il costo, soprattutto dell’energia, era decuplicato rispetto a quello che pagavamo fino allo scoppio del Covid. Ora la situazione è gradualmente tornata nei ranghi, anche se è presto affermare che la turbolenza sia passata definitivamente. Il contesto geopolitico rimane teso e il nuovo conflitto arabo-palestinese avrà ripercussioni su tutti i mercati. In tutti i casi, non abbiamo mai fatto ricadere questi rincari sul prezzo finale dei nostri prodotti. E se mi chiede una previsione di fatturato sul 2023, le rispondo che mi aspetto una crescita a doppia cifra sia a livello globale che in Italia".
Avete mai valutato la possibilità di aprire dei vostri flagship store?
T.W. "In realtà, ne abbiamo inaugurato uno in Scozia, presso l’aeroporto di Edimburgo. Il canale travel per questo genere di progetto è quello che ritentiamo più tattico perché intercetta un target di consumatori attento alla qualità dei prodotti. Stiamo studiando la possibilità di svilupparci anche in altri scali e l’Italia, anche in questo caso, è in cima ai nostri pensieri".
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