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04 Settembre 2024Cosa si fa quando il tuo bar è nominato il migliore al mondo e sei chiamato in ogni dove, ché tutti ti vogliono tutti ti cercano? Ti metti uno zaino in spalla e parti. Destinazione Amazzonia. Parte da qui la storia di Canaima Gin e del suo creatore, Simone Caporale (per chi fosse atterrato ora da un’altra galassia e non lo conoscesse, parliamo dell’International Bartender of the Year 2014 nonché bartender dell’Artesian, miglior bar dei World’s 50 Best dal 2012 al 2015, e cofondatore di Sips a Barcellona, migliore nel 2023).
Che ci tiene a sottolineare, più volte durante la masterclass tenuta a Milano presso Percento Lab: «Si chiama gin e tecnicamente è un gin, però è giusto che sappiate che con Canaima abbiamo voluto imbottigliare un distillato della foresta amazzonica».
FORAGING IN AMAZZONIA
In sintesi, il gin (la bottiglia da 700 ml è venduta a 39 euro) è distribuito in Italia da Compagnia dei Caraibi ed è realizzato con 19 botaniche (9 classiche e 10 provenienti dall’Amazzonia) distillate singolarmente in un antico Pot Still in rame recuperato, ricomposte in un blend unico, ridistillato in uno small batch da 500 litri.
Ha un ABV di 47 gradi ed è estremamente particolare. Basti dire che tra le sue componenti ci sono frutti misteriosi come il merey, l’anacardo amazzonico; l’açai, la bacca nota per le proprietà antiossidanti; il seje, il frutto della palma amazzonica; il túpiro, una solanacea sudamericana con un altissimo contenuto di ferro; l’uva de palma, il frutto della palma moriche, che gli indios chiamano frutto dell’amore e il copoazú, uno stretto parente del cacao. Il risultato è un liquore setoso, quasi oleoso che sprigiona note intense e inedite di frutti maturi e fiori carnosi.
Un distillato della foresta più biodiversa al mondo, uno scrigno che contiene migliaia di specie endemiche, molte delle quali ancora da scoprire e classificare. In sei anni, la commercializzazione è partita a fine 2018, ne sono stata prodotte 80mila bottiglie.
COME PROPORLO AL BAR
Il primo suggerimento che Caporale dà è il mix con soda al pompelmo, ma poi continua: «Canaima ha un profilo aromatico molto speciale che crea un’enorme compatibilità. Anche perché il nostro palato non è abituato a certi sentori e questo è un vantaggio, perché così si aprono nuove compatibilità di gusto. Ad esempio, si può creare un gin tonic che il cliente si ricorderà per tutta la vita. Funziona molto bene con gli agrumi, va meglio con il miele che con lo zucchero, è molto buono con le erbe fresche perché è speziato, ha dimostrato di essere altamente versatile. È anche vero che quando apro una bottiglia e tiro fuori 14 o 15 coppe ho ammortizzato i costi, il che è importante, e allo stesso tempo sto contribuendo a una cultura e al riforestamento delle foresta amazzonica e questo è bello».
Parlando di gin, chiediamo se la proliferazione delle etichette e l’hype continueranno o hanno raggiunto il massimo. «Io penso che quando è troppo è troppo soprattutto se non hanno alle spalle una ragione vera e propria di esistere, un proposito».
UNA MANO AGLI ALBERI E ALLE TRIBU' INDIGENE
Caporale è un fiume in piena, un'enciclopedia di storie e aneddoti sulle esperienze vissute nella foresta. Canaima è nato dall'esigenza di fare un progetto di responsabilità sociale in azienda, grazie al coinvolgimento della famiglia Ballesteros di DUSA Destilerias Unidas, la più grande del Venezuela (produce 24 milioni di litri l’anno con oltre 20 marchi, tra cui Rum Diplomatico): «Volevamo fare qualcosa per l’Amazzonia, dare indietro qualcosa di ciò che ci elargisce. Per questo il 2% delle vendite va direttamente alla foresta» ci spiega la marketing manager di DUSA Laura Soler. «Considera che facciamo 11mila bottiglie l’anno che non sono nulla – chiarisce Caporale - , un prodotto per cominciare ad avere margini deve farne almeno 30mila».
Per ogni bottiglia venduta vengono piantati degli alberi. Nella raccolta dei frutti sono impiegate comunità indigene che lavorano nel proprio ambiente. «Abbiamo assecondato la materia prima, abbiamo assecondato la natura e abbiamo coinvolto comunità locali indigene e abbiamo preso la loro cultura, il loro saper fare, la loro tempistica che è diversa dalla nostra [per questo, e per il fatto che molti ingredienti sono raccolti a mano, la produzione di anno in anno varia, ndr] però è stato bello anche vivere questa storia, viviamo troppo velocemente qui da noi» dice Caporale.
PERCHE' L'AMAZZONIA?
Gli chiediamo a come è avvenuto questo incontro con l'Amazzonia. «Ero uno dei bartender più fortunati e più privilegiati al mondo nel 2015/16 per i premi a Londra, per i soldi eccetera. Però mi son detto che quella non era la realtà del bartender, che stavo vivendo un mondo a parte. Così ho voluto spogliarmi di tutto, non volevo stare più il bar, volevo sentire il bar senza aver tutte queste cose. La prima cosa che feci fu prendermi una vacanza, così con zaino e scarponi sono andato in Perù, ho viaggiato con una persona del posto che mi facesse entrare nei villaggi, perché devi chiedere un permesso. Ero l’unico bianco e, essendo stati sempre trattati male hanno un po' di risentimento, c'è diffidenza, però poi con il tempo ti conoscono e vedono che sei una persona per bene. Ti aprono una finestra nel cuore che non si chiuderà mai».
L'Amazzonia perché? «Da piccolo vedevo i documentari e ne sono sempre stato attirato, avrei potuto anche andare in Africa, ma sono andato lì e non sono più tornato indietro, ho costruito questo progetto, ne abbiamo anche sviluppati altri con aziende, cose molto piccole, il primo anno avevamo dato 17mila euro a questa comunità per fare dei pozzi d'acqua alimentati a pannelli solari e la comunità dove andai a dormire all'ultimo dell'anno aveva tutte le casette con dei piccoli pannelli solari comprate con gli alberi che abbiamo piantato con un altro canale. Ed è bello andare a dormire potendo dire che oggi hai fatto qualcosa di buono, non c'è niente che ti possa appagare più di questo».
E se lo dice il pluripremiato Simone Caporale…
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