caffè
11 Novembre 2014Il fattore umano è la chiave per il futuro dell'industria del caffè e su di esso le aziende investono con formazione e marketing
Mentre il conto alla rovescia verso Host 2015 si appresta a varcare la soglia dei -365 giorni (si terrà infatti in fieramilano a Rho da venerdì 23 a martedì 27 ottobre), uno dei settori sui quali si puntano di più i riflettori è quello del caffè, punto di forza del Made in Italy, che insieme con tè, bar e macchine per caffè sarà posizionato all’interno di SIC - Salone Internazionale del Caffè, che si svolge tradizionalmente in fieramilano.
E se nel mondo del caffè, oggi, c’è qualcosa di più bollente di una buona tazzina di espresso, è sicuramente il tema dell’innovazione, da sempre protagonista di Host Milano - International Hospitality Exhibition. Tecnologica, ma non solo: anche il fattore umano riveste un’importanza crescente. E su di esso le aziende investono in termini di formazione e di marketing. Con ricerche sempre più accurate sui gusti di un consumatore che si fa di giorno in giorno più attento ed esigente.
Una nuova offerta per consumatori più attenti
Da questo punto di vista, il mercato UK rappresenta un po’ un paradigma di ciò che sta succedendo in tutto il mondo. In quella che è considerata da sempre la patria del tè, è vero e proprio boom per espresso, cappuccino e tutti i prodotti che vi ruotano intorno. Lo certifica un reportage del Telegraph, uno dei più letti quotidiani britannici, ripreso da Comunicaffè. Il reportage si spinge ad affermare che le cafeterias stiano ormai soppiantando il tradizionale pub inglese: nel 2013, infatti, le vendite hanno segnato un +6,4%, con 16.500 locali operanti. La sola insegna Costa ha al suo attivo 76 nuove aperture, per un totale di 1.831 caffetterie (2.941 in tutto il mondo), che fanno del brand creato 33 anni fa dagli italiani Sergio e Bruno Costa il leader incontrastato in terra britannica, con una quota di mercato del 46,5%, contro il 27% di Starbucks e il 13,8% di Caffè Nero.
Il fil rouge che collega il successo delle diverse catene è lo stesso: ispirarsi al tipico bar italiano, con un mix di prodotti di qualità in grado di attirare più target in diversi momenti della giornata, a differenza della “monocultura” del pub. L’imitazione del modello italiano è tale che sta andando oltre i franchising – e al di fuori delle grandi città – per coinvolgere numerosi operatori indipendenti. Lo spazio di crescita è enorme se in Inghilterra esistono ancora migliaia di località dove, come afferma testualmente il Telegraph, “è impossibile bere un buon caffè”. Ne sono un esempio i nuovi torrefattori indipendenti, attenti a miscele più particolari e gusti più originali, noti come third wave coffee roasters.
L’importanza della materia prima
Anche la qualità della materia prima, infatti, gioca un ruolo importante per rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. Lo sottolinea tra gli altri anche Carlo Petrini, fondatore di : «Arabica e robusta sono diventate commodity, hanno monopolizzato gli scambi nascondendo tanta parte di un centinaio di specie che appartengono alla famiglia vegetale delle Rubiacee, quella del caffè, caratterizzata da un’altissima variabilità genetica. Ci sono specie minori che non hanno valore commerciale ma appartengono alle tradizioni dei rispettivi Paesi produttori», dice Petrini. Che aggiunge: «I caffè ‘altri’, come quelli selvatici endemici, invece hanno come habitat diversi sistemi forestali nel mondo, di solito fragili a causa delle attività dell’uomo, e rischiano la scomparsa. Continuano sempre meno a essere coltivati all’ombra, a essere raccolti e utilizzati dalle popolazioni locali. Mqueste specie sono la garanzia per far infine sopravvivere anche le nostre abitudini».
In un settore dove le quotazioni si fanno alle borse merci di Londra e New York, l’Italia riveste comunque un ruolo importante. Secondo dati diffusi da CIC – Comitato Italiano Caffè, nel 2013 il nostro Paese si è confermato secondo mercato d’Europa dopo la Germania per la produzione e l’export di caffè torrefatto, mentre, a livello mondiale, è al quarto posto (alle spalle di Germania, Belgio e Stati Uniti) nella graduatoria dei maggiori esportatori di caffè, con circa 2,9 milioni di sacchi di caffè (equivalente a 174 milioni di kg di caffè verde).
Si tratta di uno dei settori più vivaci del food & beverage italiano, con oltre 700 torrefazioni e 7.000 addetti che lavorano nel comparto per un giro d’affari alla produzione di 3,5 miliardi di euro, di cui circa 950 milioni di euro destinati all’esportazione. Nel 2013 le importazioni di caffè verde hanno segnato un incremento del 2,23% complessivo rispetto allo stesso periodo del 2012 (con 8.255.170 sacchi di caffè verde). Le esportazioni di caffè torrefatto mantengono un deciso ritmo di crescita, con un aumento del +10,23% rispetto al 2012 (pari a 2.903.474 sacchi, equivalenti a 146 milioni e 393 mila kg).
Nuove prospettive in questo campo si stanno aprendo grazie al sequenziamento del genoma del caffè. Un recente studio pubblicato sulla rivista Science, per esempio, che si è focalizzato sulla varietà Coffea Canephora (che dà origine al caffè Robusta), ha messo in luce importanti modalità specifiche nella sintesi dei flavonoidi e della caffeina in particolare, che si riveleranno molto importanti nel prossimo futuro per tutelare le proprietà organolettiche delle diverse varietà. Questo faciliterà l’accesso al mercato di miscele con caratteristiche – di gusto e, anche, salutistiche – in grado di attrarre nuove e diverse fasce di consumatori.
Diffondere la cultura del caffè
Diffondere maggiormente la cultura del caffè è la chiave anche secondo Francesco Sanapo, tre volte campione italiano di caffetteria ben noto ai visitatori di Host, spesso protagonista degli eventi ospitati al Sic, e impegnato in percorsi formativi per i colleghi baristas.
«Il barista ha un ruolo centrale», ha spiegato Sanapo in un’intervista rilasciata a EpochTimes Italia. «Il punto è che il barista non conosce il caffè che sta servendo, non si dà quindi importanza alla comunicazione con il cliente. Il barista è come una chiave per aprire la porta della qualità: iniziamo a parlare della piantagione dalla quale proviene il chicco, fino allo spettro di aromi che si può gustare. Sono sicuro che il cliente penserà che è qualcosa di diverso. Attenzione: è necessario studiare; l’improvvisazione è un male e porta solo danni».
«Scritte pompose come ‘100% arabica’ mi fanno venir voglia di mandare un messaggio un po’ provocatorio. Per me non significano niente. È come scrivere su una bottiglia di vino ‘prodotto con uva’», prosegue Sanapo. «Bisogna essere in grado di dire qualcosa in più: la varietà botanica, se il caffè è stato lavato o meno, il processo di tostatura e così via. Sono informazioni che servono al barista per proporre e per vendere il caffè in modo diverso da come è stato fatto finora. Ci si può differenziare dalla concorrenza anche senza usare termini tecnici, che magari appaiono difficili e noiosi».
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A cura di Matteo Cioffi
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