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12 Ottobre 2015Millennials, un universo da scoprire. E da apprezzare, mettendo da parte pregiudizi e luoghi comuni.
È quanto emerge dalla ricerca «Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova» realizzata dal Censis per il Padiglione Italia di Expo 2015, su un campione di giovani tra i 18 e i 35 anni.
Accantonato il clichè che li classificava come “bamboccioni” o “choosy” i giovani si rivelano intraprendenti, fortemente motivati, stakanovisti , sobri, strenui fautori del proprio io, ma solidali e… accomodanti.
Specialmente per quanto riguarda il mercato del lavoro, non sempre generoso con le nuove generazioni.
Pare infatti che rispetto ai più “anziani” Baby Boomers i Millennials siano più propensi ad accettare contratti brevi, qualifiche inferiori alla propria formazione, impieghi al nero o stage non retribuiti.
E questo nonostante abbiano dei plus importanti: sono infatti la prima generazione realmente bilingue e nativa digitale. Atout significativi che, messi a frutto realmente, sarebbero un potente propellente per il successo e l’affermazione professionale.
Intraprendenza
Davanti a un mercato ostico i Millennials non si sono arresi: quasi 32.000 nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015, infatti, fanno capo a un under 35, con una crescita del 3,6% rispetto al trimestre precedente. Una forte vitalità, dunque, trasversale a tutte le aree del Paese se anche nel Mezzogiorno il 40,6% delle attività nate nel trimestre è riconducibile a un giovane, con un tasso di crescita del 3,5% rispetto al trimestre precedente.
I Millennials sono lavoratori indefessi: più di 3,8 milioni lavorano oltre l’orario formale (il 17,1% in più rispetto ai Baby Boomers). Di questi, 1,1 milioni lo ha fatto senza ricevere il pagamento degli straordinari (il 4% in pi. rispetto alla fascia di 35 -64 anni) e 1,7 milioni con una copertura economica solo saltuaria. A 1,1 milioni di Millennials capita di lavorare anche di notte, a quasi 3 milioni durante il weekend. Molti lavorano in remoto da casa e questo, anziché attenuare l’impegno, significa, al contrario, dilatare i tempi dedicati alle attività professionali.
L’io e la sharing economy
I Millennials, credono nel proprio Io. Questo non vuol dire che siano egoisti: per questo è più corretto parlare di soggettivismo etico. L’io è considerato la misura di tutte le cose, quindi, l’obiettivo precipuo è soddisfarlo, in linea con una nuova dimensione più sobria e contenuta. In questo mood si innesca il successo della sharing economy (Uber, Airbnb, Gnammo, iBarter e via dicendo) che vede la dimensione del noi entrare in campo per sostenere e soddisfare i bisogni dell’Io.
Foodies, l’importanza del cibo
Nel sistema valoriale dei Millennials il cibo, e tutto ciò che vi ruota intorno, hanno assunto un ruolo di primo piano, testimoniato dalla fioritura di blog e piattaforme web dedicate al cibo, dalla miriade di start up nel settore della ristorazione e- non ultimo- dal ritorno all’agricoltura.
Ma cosa amano i giovani del cibo? Innanzitutto il legame con il territorio: il 60% degli under 35 infatti ritiene che l’eccellenza del proprio territorio si concretizza nei prodotti alimentari locali a fronte del 47,5% della media nazionale. Mangiare è un fatto culturale e relazionale, molto più che un vettore funzionale, e attraverso il rapporto con ciò che si mette in tavola e proviene dai propri territori i giovani italiani plasmano il loro sentire identitario. L’Italian food, inoltre, è un fattore distintivo di portata internazionale che inorgoglisce i Millennials che più degli altri vanno per il mondo. Il 23,9% definisce il rapporto con il cibo degli italiani divertente, perché mangiare fa parte del nostro modo di stare insieme e divertirci, per il 20,5% è salutare.
Per i giovani il cibo è cultura: il 93% dei Millennials si dichiara coinvolto dal tema, il 53,5% è un appassionato, il 28,3% un intenditore e l’11,1% pensa a sé stesso come a un vero esperto.
E in effetti il tempo investito in attività culinarie non è poco: sono 10,9 milioni i giovani che dichiarano di cucinare, 3,4 milioni lo fanno con regolarità e 5 milioni lo fanno spesso. Ed è attività che appassiona, attira, gratifica, taglia trasversalmente appartenenze di genere, sociali, territoriali. Sono 10 milioni i Millennials italiani che cucinano e a cui piace farlo: 4,2 milioni perché li appassiona, 2,6 milioni perché li rilassa e 2,7 milioni ai fornelli provano un senso di gratificazione.
Quale cibo va per la maggiore?
La cucina italiana rimane quella più praticata nel quotidiano (11,1 milioni di Millennials) seguita dalla cucina tipica dei territori (11 milioni), però anche “l’esotico” va bene: sono 8,7 milioni i Millennials italiani che dichiarano di mangiare piatti tipici di altri paesi europei (paella, crepes, ecc.); 7,7 milioni (1,8 milioni abitualmente) mangiano piatti etnici (guacamole, cous cous) e 10 milioni (di cui 3,3 milioni regolarmente) consumano piatti preparati secondo ricette nuove di cui hanno sentito parlare in tv e/o letto su riviste e/o su ricettari. Quanto allo stile alimentare professato, i Millennials sono perfetti interpreti del neopoliteismo sobrio italico: riescono cioè a far convivere senza colpo ferire fast food e slow food.
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