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15 Luglio 2015Cosa hanno in comune l’arancia e l’ortica? Si mangiano, si bevono e… si tessono! È questo il tema di Textifood, la mostra che, al Padiglione Lille3000 presso l’Institut Français, Palazzo delle Stelline, in C.so Magenta 63 a Milano, sulla linea del progetto Futurotextiles dedicato ai tessuti tecnici e innovativi, presenta alcune fibre ricavate da specie vegetali e animali, di cui una parte è commestibile e l’altra viene invece utilizzata per la creazione tessile.
Concepita per il Padiglione Francia ad Expo Milano 2015 e in linea con il tema dell’Esposizione Universale “Nutrire il pianeta, energia per la vita“, la mostra racconta il mondo dei tessuti nella sua incredibile diversità, allo scopo di mostrare il campo delle possibili sinergie fra i sistemi produttivi alimentari e quelli tessili.
Tra le mura di Palazzo delle Stelline, sede dell’Institut Français a Milano, Lille3000 con il sostegno della Métropole Européenne de Lille e della regione Nord-Pas de Calais è riuscita a creare un percorso espositivo unico: fibre e tessuti mai visti, giunti dai vari continenti per far conoscere al grande pubblico le nuove prospettive ambientali e scientifiche rese possibili dal trattamento delle materie naturali.
Arancia, ananas, banana, ortica, alghe, vini, birre, crostacei…Frutta e verdura (e non solo) al servizio della moda! L’industria tessile del futuro fa degli scarti alimentari una vera e propria risorsa da cui attingere per realizzare supporti innovativi capaci di soddisfare le esigenze del mercato e di rispondere al bisogno di sostenibilità di un pianeta sempre più a rischio.
In Giappone, fin dal 13esimo secolo, le banane vengono utilizzate per realizzare un tipo di tessuto, lo “jusi” leggerissimo, tuttora impiegato per il confezionamento dei kimono. Si tratta di un simil-cotone ricavato dagli steli cui sono attaccati i caschi di banane. Dita Sandico ha aperto la strada alla trasformazione delle foglie di banano in abacà “seta di banano”. Nel 2014 la fibra è arrivata al grande pubblico con l’abito realizzato da Coralie Marabelle su tessuto di ananas e banano opera di Elodie Brunet e con l’abito dell’artista Em Riem fatto interamente di foglie di banano essiccate.
L’ortica non si usa solo nelle zuppe! Già dalla Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi utilizzavano la fibra di ortica in alternativa al cotone per fabbricare le proprie uniformi perché il mercato tessile, era dominato dall’Inghilterra. Oggi è entrata a tutti gli effetti nel mondo della moda grazie a diversi progetti europei fra cui l’italiana Grado Zero con la giacca 100% fibra d’ortica. I vantaggi di questa fibra sono notevoli: non ha bisogno di fertilizzanti e per la coltivazione richiede poca acqua, classificandosi così tra le fibre più sostenibili.
Tra le fibre di origine cellulosica ricavate dai vegetali c’è la nostra Orange Fiber, la prima fibra ricavata dal pastazzo d’agrumi, ossia quel residuo umido che resta al termine della produzione industriale di succo di agrumi. Orange Fiber è un cosmetotessile: gli oli essenziali di agrumi presenti sul tessuto, idratano e nutrono la pelle, come se si mettesse la crema al mattino. Dall’aspetto serico simile all’acetato, il tessuto è anche biodegradabile.
Una nuova fibra tessile naturale ricavata dalla cellulosa delle alghe marine, è Seacell, una fibra cellulosica nella quale sono inseriti estratti di alghe e ioni di argento, che garantiscono una naturale funzione antibatterica, antinfiammatoria e anti pruriginosa.
Ci sono poi le fibre artificiali, ottenute cioè con il trattamento chimico di una materia di origine animale. Interessante alternativa alla lana e alla seta, la cui produzione e dismissione comporta ingenti danni ambientali, è la fibra di latte. La fibra di latte è ricavata dalla caseina, la principale proteina del latte, con la quale si può ottenere una fibra artificiale molto simile alla lana. La caseina necessaria alla sua realizzazione viene estratta solo dal latte andato a male, il che ne fa anche un progetto di riciclo molto intelligente. QMilk ha permesso di compiere grandi passi avanti nella direzione della sostenibilità: la produzione richiede soltanto 2 litri d’acqua per ogni chilo di prodotto, nessun agente chimico e zero scarti di produzione.
Il Crabyon è invece una fibra naturale riciclabile e biodegradabile fabbricata a partire dall’estrazione del chitosano dal carapace del granchio e la successiva miscelazione con viscosa. Questa sostanza viene ricavata dagli scarti dell’industria alimentare. La struttura chimica del chitosano le conferisce proprietà altamente antibatteriche, e risultando molto simile alla cellulosa, se abbinato alla viscosa e al cotone rende la fibra Crabyon molto versatile.
Alcuni esperti del settore e fashion designer stanno iniziando a sperimentare tessuti alternativi cercando un’alternativa utilizzando i batteri. È in questo filone che si inserisce la Biocouture della stilista Suzanne Lee. La sua ricetta? Una mix simbiotico di batteri, lieviti ed altri microrganismi che producono sottili fogli di cellulosa in un processo di fermentazione. Quando i fogli asciugano, possono essere tagliati e cuciti come un normale tessuto o modellati quando sono ancora umidi.
Un team di ricercatori della University of Western Australia, coordinati dallo scienziato Gary Cass con la collaborazione dell’artista Donna Franklin, ha realizzato un nuovo tessuto a partire dal processo di fermentazione delle bevande alcoliche. Il tessuto ottenuto da questo processo è rosso per il vino rosso, traslucido per il vino bianco ed ambrato per la birra. Unico neo, la scarsa flessibilità, che ne riduce fortemente la vestibilità e l’odore simile all’aceto.
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