05 Febbraio 2017
Ecco il momento delle stime, dei rapporti e delle statistiche di inizio anno. Messi da parte i pareri di sommelier ed esperti di settore, sistemate le guide sugli scaffali delle librerie e guardati di sfuggita i grafici dell’export del vino, resta un solo quesito: quali saranno le tendenze del 2017? Cosa chiederanno i milioni di italiani (e non solo) che siederanno al tavolo di un ristorante o al bancone di un winebar? I commenti e le tendenze (come sempre capita) abbondano, tra pareri e voci discordanti, tra bottiglie ‘made in Italy’ e vini che giungono da oltre confine, non solo dalle vicine Francia e Spagna, ma anche da America e Nuova Zelanda.
Si parte in maniera facile… restando deliziosamente impigliati nel perlage della spumantistica italiana. Sempre tra i preferiti gli sparkling wine di Franciacorta e Trentino anche se svetta l’intramontabile Prosecco, con una richiesta in costante aumento in tutto il mondo. Un nome e un vino talmente noti da essere usati erroneamente come abito identificativo di tutto ciò che si versa nella flûte. Di certo un limite (o mancanza di professionalità) di molti locali che, in modo sbrigativo, chiamano Prosecco spumanti che dell’inimitabile tipologia italiana non hanno nemmeno lontanamente profumo e gusto. Accanto alle peculiarità di queste bollicine, bisogna fare spazio alla ricerca di freschezza, di profumi fruttati, a un’equilibrata acidità, alla sapidità e a quel gradevole aroma erbaceo: ed ecco l’aumento dei consumi dei Sauvignon, prodotti non solo nel vecchio continente, come quelli ben noti che giungono dalla Loira, ma anche quelli di “moderna” produzione che arrivano dalla Nuova Zelanda.
Da non sottovalutare che la qualità dei vini, negli ultimi 10-15 anni, è cresciuta tantissimo e assieme alla qualità è cresciuta la voglia di assaggiare tipologie poco note e mai provate prima. Conferma questo trend il mercato e l’aumento delle cantine che hanno riportato alla luce vitigni autoctoni oramai dimenticati. Ciò avviene perché il consumatore medio, sempre più consapevole e curioso, ha il desiderio di sorseggiare un vino che “abbia una storia da raccontare” e questo capita indipendentemente dal giudizio che ne darà alla fine: un vino può piacere o meno, si può non condividere l’abbinamento con la tavola ma se è in grado di narrare la sua origine, la sua provenienza o se è capace di esprime particolarità tutte sue, di certo avrà suscitato interesse… magari quello di assaggiarlo per una seconda volta.
Resta invariata la fascia dei fedelissimi consumatori che continuano ad amare i grandi rossi: sempre di tendenza e in crescita il Pinot Nero, anche quello che arriva da Nuova Zelanda, Cile, Oregon e California, con un occhio di riguardo all’intramontabile Borgogna. Si ricerca però un prodotto più elegante, magari caratterizzato da un tocco di freschezza in più, con meno tannini e con un aroma vanigliato – dato dalla sosta in legno – più discreto. E se il vino fino a qualche anno fa era anche una questione d’èlite, il simbolo di una classe sociale capace di acquistare e collezionare importanti etichette italiane e straniere, ebbene, le tendenze del 2017 passano anche dai vini “comprati e bevuti”. Merito del loro ottimo rapporto qualità-prezzo e merito della loro pronta beva, piacevole e immediata. La semplicità vince su tutto, così come la consapevolezza di bere in modo naturale e sano. Ecco allora l’ascesa del vino biologico e del vino vegano, un consumo che è diventato d’abitudine per le persone che seguono questa filosofia di vita ma registra importanti cifre – soprattutto nella ristorazione – anche da parte di chi ha sempre gustato il nettare di Bacco in modo convenzionale. Sta di fatto che tutto ciò che rientra nel “mondo naturale” merita un discorso a sé, a prescindere dal fatto che possa definirsi moda o tendenza.
La vera novità del 2017 sarà data però dagli Orange Wine, ossia tutti i vini nati dalla macerazione prolungata delle uve bianche. Un nome che per molti suona assolutamente come nuovo ma che, una volta scoperto, già promette di suscitare grande attenzione. Nulla di strano nella procedura, solo che il mosto in fermentazione resta a lungo a contatto con le bucce, traendone tannini e un colore che vira dall’arancione all’ambra. Una tecnica usata soprattutto in Georgia, considerando anche la tradizione della conservazione in grossi contenitori di argilla sepolti nel terreno. E nel bicchiere? Oltre al colore ambrato con variegate sfumature, colpisce per i profumi simili alle spezie e alla frutta secca oltre a una nota di miele amaro e paglia, un ventaglio spesso distante dai “canoni tradizionali”. Allo stesso modo, anche al palato, gli Orange Wine offrono un gusto di rabarbaro, humami e toni di ginger. Curiosi da provare anche con un buon piatto, magari di cucina asiatica.
(Maddalena Baldini)
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