09 Agosto 2017
Errare humanum est, dicevano i latini. La pensa così anche Giuliano Baldessari, titolare e chef di “Aqua Crua” a Barbarano Vicentino, sui Colli Berici. Ironico ma al tempo stesso con i piedi per terra, Baldessari ci racconta della sua ‘giovane’ carriera che vanta collaborazioni prestigiose, stella Michelin al seguito, e tanta umiltà al punto da svelarci un suo piccolo segreto: “per me gli errori sono importanti. La mia ricetta dei ravioli con crema di zucca e geranio al limone è nata infatti per sbaglio, dal tentativo di fare uno yogurt ai porcini”.
La tua è una bella storia da raccontare: un ragazzo che aveva un sogno nel cassetto…
Più che da un sogno, potremmo dire che tutto è nato da una delusione. Avevo firmato un contratto per andare a lavorare in Svizzera, ma il giorno prima della partenza mi hanno chiamato ed è saltato tutto. Mi sono ripromesso che non mi sarei mai più sentito così.
Qual è stato il tuo percorso formativo?
Dopo le scuole medie ho fatto un anno di meccanica all’Enaip, ma non mi piaceva. Sono andato a fare la stagione Da Mario, alla stazione di Marter. Qui ho scoperto la passione per la cucina e mi sono iscritto alla scuola alberghiera di Levico. Con determinazione e anche fortuna mi sono fatto notare da Giorgio Nardelli che all’epoca era allenatore della nazionale cuochi. Lui mi ha messo alla prova, e mi ha mandato tre anni in Germania per poi prendermi a lavorare con lui a Bolzano.
Quanto hanno contato le esperienze all’estero?
Le esperienze in se non contano. Credo piuttosto che sia necessario lavorare sulla propria sensibilità. La vera linfa vitale per un cuoco è mantenere sempre la voglia di fare bene il proprio lavoro e puntare alla massima espressione dei propri piatti. L’importante è come vedi le cose e come le interpreti.
Il tuo stile in cucina è la somma di tre esperienze: quella con Massimiliano Alajmo, con Aimo Moroni e con Marc Veyrat. Cosa hai imparato da ciascuno di loro?
Umanamente mi hanno dato tanto tutti e tre. Dal punto di vista della cucina da Marc Veyrat ho imparato a non aver paura di osare e da Aimo Moroni la passione per le materie prime e per la continua ricerca. Da Massimiliano Alajmo il concetto di gioco, di una cucina che va oltre grazie al pensiero.
Hai detto in una intervista che per te sedersi a tavola non serve solo a sfamarsi ma anche a riflettere. E a meravigliarsi. Vogliamo spiegare questo concetto?
Quando io mi siedo a tavola quello che mi aspetto è di provare emozione. Quello che mi interessa è il gioco dei contrasti, la ricerca che è stata fatta, capire dov’è arrivato il lavoro dello chef.
Oggi per essere annoverati tra i ‘top chef’ i cuochi sono chiamati a spingere al limite la propria creatività, osare in ogni scelta e correre contro il tempo. È davvero così?
Per me il difficile è uscire dal banale. L’essere innovativo a tutti i costi non è sinonimo di grande cucina. Ci sono cuochi meravigliosi che fanno cucina classica.
Parliamo di Aqua Crua, un ristorante che ami definire trasparente…
Aqua Crua è un ristorante che ho creato a mia immagine e somiglianza, quindi posso dire che mi assomiglia molto. Io, nel bene e nel male, sono una persona molto trasparente, che dice sempre quello che pensa. Anche Aqua Crua è così: trasparente e autentico.
Nella tua cucina si usa solo sale integrale e farine integrali. Come mai questa scelta?
Uso ingredienti integrali per il benessere del corpo. Così come uso solo le materie prime migliori. La mia idea è che dovremmo mangiare solo quello che le nostre bisnonne sarebbero ancora in grado di riconoscere. Purtroppo la tendenza degli ultimi anni è stata quella di spostare i consumi verso il cibo raffinato.
Che tipo di menù proponi all’Aqua Crua?
I menù che propongo attualmente sono due: I Frattali e Iniziazione. Il primo è quello dove suggerisco i miei classici, il secondo è dove oso di più, dove spingo sull’innovazione.
Gli aggettivi più usati per definirti sono artista, mago e illusionista. Quale si avvicina più alla realtà?
In realtà non mi reputo un’artista e neppure un mago o un illusionista. Sono solo una persona che ama innamorarsi di quello che fa, un grande entusiasta che agisce e cucina molto spesso guidato dall’istinto.
Hai detto che con il tuo staff fate yoga e oziate per un quarto d’ora al giorno “perché la creatività deriva dall’ozio”…
Secondo me è importante ritagliarsi degli spazi per coltivare la propria creatività. È fondamentale avere dei momenti in cui stare lontano dalla cucina per vedere anche il resto del mondo. Se ti chiudi in questo piccolo spazio protetto non puoi avere termini di paragone e rischi che diventi la tua prigione. Io amo stare all’aperto, stare a contatto con la natura, ma in certi casi la mia fuga può essere anche solo mentale. Perché la vita è una situazione mentale.
Qual è lo scoglio più grande quando si apre un ristorante?
Per me è stata la paura di cucinare. La cucina è una parte di me, attraverso cui dono me stesso alla gente. Quindi aprire il mio ristorante è stata per me una grande sfida, un mettermi fortemente in discussione. Può sembrare paradossale, ma è quando hai paura che riesci a spingere al massimo.
Fai parte di quella scuola che crede sia fondamentale fare degli errori per capire la vera direzione. Cosa ti senti di dire in questo senso a chi approccia oggi questo mestiere?
Si, per me gli errori sono importanti, ma so anche che di questi tempi non ci è permesso perdere troppo tempo. Avere obiettivi chiari è fondamentale. Da giovanissimo puoi anche permetterti di vagare senza meta, ma a un certo punto devi trovare la direzione giusta. Gli errori arriveranno lo stesso, ma almeno avrai un sentiero tracciato da seguire.
Come ti vedi tra qualche anno?
Spero sempre meglio: ho appena iniziato!
Sei stato anche giudice in un talent. A parte le polemiche legate all’eccessiva esposizione oggi in Tv di alcuni chef, può davvero servire un’esperienza di questo genere?
A me personalmente l’esperienza è servita. Penso che dal confronto si cresca sempre e io ho ricevuto tanto dall’incontro con gli altri giudici, con i concorrenti e con l’intera produzione.
Ci regali una tua ricetta?
Volentieri. Visto che abbiamo parlato di errori, vi regalo una ricetta nata per sbaglio, dal tentativo di fare uno yogurt ai porcini. In realtà i funghi hanno fatto cagliare il latte, producendo un formaggio acido buonissimo. Da quel giorno lo uso per fare dei ravioli che accompagno con una crema di zucca e geranio al limone.
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