21 Agosto 2017
Il segno tangibile è quando la upper class londinese si dà appuntamento per l’aperitivo e ordina un prosecco. L’Italia piace parecchio ai sudditi di Sua Maestà. La Camera di Commercio Italiana al 22-24 di Ely Place, nella Capitale, vive un’eterna giovinezza quando si parla di food & beverage del Belpaese e i ristoranti a tema ne sono una conferma. Quando l’Impero Romano sbarcò sulla costa meridionale della Gran Bretagna nel 43 dC, pochi avrebbero potuto presagire un’invasione di prelibatezze dallo stampo mediterraneo.
Uno dei primi libri di cucina in inglese, “The Forme di Cury”, scritto dal cuoco di Re Riccardo II di Inghilterra, e pubblicato nel 1390, contiene ricette per losyns, rauioles e makerouns: lasagne, ravioli e maccheroni. È ormai nel DNA dei britannici il profumo dei piatti italiani. Ecco il motivo per cui numerose società indipendenti di proprietà familiare forniscono da decenni una vasta gamma di prodotti legati all’autentica cucina e al vino tricolori, ingredienti di base ed elementi di catering utilizzati da ogni brigata. Attraverso i propri partner in Italia, le società hanno modo di importare il miglior cibo e vino rivendendolo a prezzi competitivi.
Il Quality Food Groupage ha molti player e si basa sull’esperienza di chef conoscitori ed esperti massimi delle logiche di import ed export di prodotti alimentari. Il mercato britannico è un ottimo volano e biglietto da visita per poi lavorare, esportando in tutta Europa, prodotti alimentari destinati al settore ristorativo. Nel contempo Italia e Gran Bretagna proseguono a flirtare. In una puntata speciale di “4 Ristoranti”, in onda su Sky Uno, lo chef Alessandro Borghese ha fatto uno strappo alla regola e si è infilato in un poker di cucine londinesi specializzate in pietanze italiane. Ha vinto Roberto Costa de Il Macellaio RC, esercizio aperto nel 2012 che ricorda un vero e proprio teatro, non solo per l’allestimento, ma soprattutto perché ogni sera Costa dà spettacolo. Il concetto di originalità della nuova Italia che non si distacca mai dalla tradizione, segna indubbiamente il passo e prende fortemente le distanze dalle tovaglie a scacchi biancorossi e dai fiaschi impagliati di Chianti che dipingono costantemente il classico quadretto italiano.
I londinesi, e non solo loro ma anche i turisti, apprezzano sempre più la qualità del cibo tralasciando cliché che ormai ci appartengono sempre meno. Gli italiani lo fanno meglio, lo testimonia anche il fatto che un personaggio come Jamie Oliver abbia chiuso sei dei suoi “Italian restaurants” ormai sull’orlo del baratro finanziario: 120 professionisti senza lavoro e location chiuse da Aberdeen a Cheltenham, da Richmond a Tunbridge Wells. Nonostante la Brexit abbia fatto crollare nel recente passato le esportazioni italiane in Gran Bretagna, con un calo complessivo del 12% nel 2016 che ha colpito tutti i settori, e mentre Coldiretti esamina la svalutazione della sterlina, ci sono voci che vanno controcorrente. I formaggi Made in Italy ad esempio non avvertono alcuna crisi, anzi, vanno forte e Parmigiano Reggiano e Grana Padano tengono testa. La Gran Bretagna è il quarto mercato di esportazione generale per l’Italia e uno di quelli che negli ultimi anni ha dato le soddisfazioni maggiori e il 10,1% proviene da alimentari e bevande. Il settore alimentare e delle bevande, con quello tessile, sembrano essere quelli meno a rischio. Statisticamente, la richiesta di prodotti alimentari e tessili italiani infatti non si è mai arrestata neanche negli anni di crisi più acuta; questa analisi sui dati storici ha indotto gli analisti a pensare che gli effetti Brexit su questi settori sarebbero solo marginali. Così abbiamo interpellato Giorgio Frigo, il quale ci ha illustrato la posizione di CIC Cooperativa Italiana Catering in merito.
Siete presenti con il vostro export nel mercato del Regno Unito?
No, non siamo presenti perché non abbiamo un socio nel Regno Unito. Ma siamo molto attenti a tutti i mercati esteri. Ci vuole l’azienda giusta, che abbia le caratteristiche giuste, per essere presenti su un territorio.
Gli USA potrebbero essere allora un collegamento utile per sbarcare al di là della Manica?
Il marchio Qualitaly è registrato anche negli Stati Uniti: a livello commerciale, come testa di ponte, sono due mercati completamente diversi.
Ci sono richieste speciali in fatto di ordini provenienti dall’estero?
Non abbiamo a che fare direttamente con i clienti bensì con le aziende. Sappiamo benissimo comunque che l’estero spesso cavalca l’onda: così oltre confine si segue la moda.
Qual è il prodotto che vendete maggiormente?
C’è una linea di prodotti, come la Linea Rossa o le farine di forza, che danno grandi soddisfazioni. I prodotti che vanno per la maggiore all’estero sono tuttavia quelli che vanno anche in Italia. L’italianità è il nostro forte.
Quale è la vostra risposta ai prodotti all’Italian sounding?
La contraffazione vale il 50 per cento del nostro export. Sarebbe il caso di fare qualcosa nell’immediato.
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A cura di Matteo Cioffi
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