pubblici esercizi
02 Gennaio 2018Voce del verbo cucinare. Per uno chef non dovrebbe esistere altro. Eppure spesso un cuoco deve la sua sopravvivenza non tanto ai conti pagati dai propri clienti ma ad attività parallele: conduzioni televisive, consulenze esterne, convention, eventi, blog, pubblicità, libri. Certo, gli chef famosi hanno più “mercato”, ma anche i ristoratori di livello medio hanno qualche chance di mettere a frutto le proprie competenze.
[caption id="attachment_129854" align="alignleft" width="249"] Heinz Beck[/caption]
QUESTIONE DI COSTI - Un ristorante ha costi molto elevati: il personale, che per accontentare una clientela sempre più esigente deve essere numeroso e preparato, le tasse, che si mangiano buona parte dei ricavi, il food-cost, sul quale si può risparmiare fino a un certo punto, la cantina, che è una voce spesso trascurata ma assai gravosa, l’arredamento, la lavanderia, a volte l’affitto del locale, assorbono quasi tutti i profitti. Così sempre più spesso un’insegna diventa una sorta di showroom che serve a conquistare l’attenzione delle guide, dare fama allo chef che può metterla a frutto in attività collaterali. Semplice ed efficace. Prendiamo il caso di Heinz Beck, lo chef tristellato della Pergola del Rome Cavalieri di Roma. Attualmente le sue attività, oltre a quella che gli dà maggiore prestigio, sono: chef di un ristorante a Tokyo (Heinz Beck&Sensi), di due locali a Dubai (il ristorante casual Taste of Italy, che è anche negozio, e il Social), di uno in Algarve, in Portogallo (Gusto). Poi ha lo zampino nel Cafè Les Paillotes di Pescara e nel Castello di Fighine nel Sud della Toscana; sta per aprire un ristorante all’aeroporto di Fiumicino, Attimi, per il quale ha preteso una cucina grande come quella della Pergola, ha una partnership con la Mercedes Benz, una collaborazione con la De Cecco per la produzione di sughi e un’altra con i vini laziali di Omina Romana. E poi ci sono le feste, le comparsate, i libri (Beck ne ha scritti otto). Una iperattività che naturalmente è un po’ sospetta. “Heinz fa un po’ troppe cose – ci confessa un suo collega stellato che vuole però restare anonimo – e quando metti il nome su troppi ristoranti non puoi seguirli troppo bene. Infatti, ogni tanto qualche operazione non va a buon fine”.
TRA CONSULENZE ED EVENTI - E vediamole, queste attività extra. Prima di tutto ci sono le consulenze. Ci sono quelle da vere star, quando uno chef famoso che ha già un suo ristorante prende in carico anche un’altra insegna, dove non potrà essere fisicamente presente se non per brevi periodi. Quindi si limiterà a impostare il menu, in genere lavorando su una proposta semplificata rispetto a quella del ristorante numero uno, e preparare la brigata, a capo della quale metterà un suo allievo. Ogni tanto una comparsata, ogni tanto una visita per un giro di vite, qualora necessario, e il gioco è fatto. Un gioco che conviene a entrambe le parti. Allo chef che incassa un assegno da qualche decina di migliaia di euro l’anno e al ristorante che si bea comunque della prestigiosa griffe. Poi ci sono i consulenti veri e propri, gli chef non troppo noti che si sono specializzati nel fornire consigli e supporto agli altri. Francesco de Francesco sul suo sito frachef.it si propone per l’avviamento di un locale (300 euro netti al giorno), per l’attività marketing (300 euro al giorno), per il monitoraggio in cucina (osservazione per un giorno, sempre a 300 euro netti, dell’attività del ristorante per individuare le criticità). Poi corsi di cucina personalizzati anche amatoriali e anche su Skype a 20 o 30 euro l’ora. De Francesco è talmente abituato a monetizzare ogni slot della sua giornata che quando gli chiediamo di rispondere a qualche domanda ci chiede di essere pagato. Sarà per la prossima volta. Poi ci sono gli eventi. Gli chef vengono spesso chiamati a cucinare per festival gastronomici, serate sponsorizzate, presentazioni di automobili o telefoni di ultima generazione, eventi culturali con cachet che variano in funzione dell’impegno, della lontananza, del numero di ospiti, del prestigio dello chef. Celebre il caso di Carlo Cracco, che lo scorso Capodanno cucinò (per la verità un solo piatto) per il cenone Vip organizzato da una società di eventi alla Torre Porta Nuova dell’Arsenale di Venezia. Una cena da 1500 euro a coperto (con bonus come il trasporto in motoscafo e lo spettacolo privato di fuochi artificiali) per la quale lo hef televisivo incassò 10mila euro senza nemmeno farsi vedere.
INSEGNO L’INGEGNO, TRA SCUOLE E BLOG - Le scuole di cucina sono un’altra importante fonte alternativa di reddito. Gli chef a volte gestiscono in prima persona delle strutture, come fa da Coquis a Roma lo chef del Convivio Angelo Troiani. Ma più spesso fanno da docenti incassando dai 250 ai 600 euro per ogni lezione, spesso di diverse ore. Oltre alle grandi istituzioni didattiche (Alma a Colorno, Università del Gusto a Vicenza, Università di scienze Gastronomiche a Pollenzo, Cordon Bleu a Firenze) ci sono scuole bene organizzate in tutte le grandi città che offrono corsi anche amatoriali e lezioni su singoli temi (la schiscètta, il pic nic) che offrono spazi per tutti gli chef (meglio se specializzati) che abbiano voglia di trasmettere la propria esperienza. C’è anche chi trasforma le lezioni in veri happening. Accadde a Cannavacciuolo che il 19 aprile 2016 tenne una lezione per migliaia di aspiranti chef allo stadio Olimpico di Roma.
Poi ci sono i libri. Naturalmente per essere appetibili a una casa editrice bisogna avere un nome oppure avere qualche idea geniale. Tutti i grandi chef ne scrivono (di Cannavacciuolo recentemente Arrigo Cipriani ha detto: “Scrive più libri di Proust”) ma sbaglierebbe uno chef che si aspettasse chissà quali introiti. “Io ho scritto diversi volumi – dice Francesco Apreda dell’Imàgo di Roma – ma inizialmente l’ho fatto più per la gloria che altro. Si viene pagati in funzione delle copie vendute e si sa che in Italia l’editoria tradizionale è in crisi”. Per questo ecco i blog. Molti ne hanno ma pochi sono riusciti a farne un business. Tra questi Sonia Peronaci, inventrice di “Giallo Zafferano”, che una decina di anni fa fu il primo sito a specializzarsi nelle videoricette. Poi la vendita del sito a Banzai, la trasformazione in una star (con trasmissioni in tv) e alla fine il sofferto divorzio dal sito che l’ha resa nota, trasformatasi in una miniera d’oro. Ma molti altri blog di chef galleggiano senza infamia e senza lode. Infine ci sono le partnership. Aziende che pagano, o quanto meno, forniscono gratuitamente il prodotto in cambio della visibilità offerta dallo chef che magari ha anche una fama locale. Di recente la trasmissione di RaiTre “Report” ha raccontato come alcuni chef noti siano spinti a prediligere un celebre formaggio grattugiabile italiano a scapito di un altro ancora più noto e a dedicargli piatti o interi menu in cambio di forme gratuite. Nelle cucine italiane si sopravvive anche così.
FATTURATI DA PICCOLA IMPRESA - Ogni chef importante è una vera e propria macchina da soldi, che fa capo a società dal fatturato annuo multimilionario. La Ca.Pri di Antonino Cannavacciuolo ha fatturato nel 2015 5.229.123 euro, frutto non tanto dei ricavi del ristorante Villa Crespi di Orta San Giulio, quanto del ruolo di chef di Masterchef, della conduzione di “Cucine da Incubo” prodotto da Endemol Italia e di decine di eventi, consulenze e comparsate. La Alajmo spa dei fratelli che gestiscono il ristorante tristellato Le Calandre di Rubano fattura oltre 11 milioni di euro, la Francescana srl di Massimo Bottura 4,4 milioni, la R.R. srl di Niko Romito 2,7 milioni e la Da Vittorio srl dei fratelli Cerea dell’omonimo ristorante di Brusaporto, nel Bergamasco, oltre 11 milioni.
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A cura di Matteo Cioffi
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