pubblici esercizi
02 Gennaio 2017
Il tema del Lavoro continua ad essere centrale nella discussione pubblica, non solo per gli aspetti economici, ma anche per quelli etico-sociali ad esso collegati. Lo stesso Papa Francesco, che richiama il concetto di “Lavoro degno”, invita tutti a prendersi cura di una ferita aperta, concentrando impegno e risorse nel sostenere una “spinta gentile” che possa ridare speranza a tante persone oggi in difficoltà. Non mi permetto di commentare la battuta del Santo Padre “Chi licenzia è un commerciante”, non solo perché sarebbe blasfemo, ma anche perché la considerazione rientrava in una riflessione che toccava “la scelta dolorosa del licenziamento” e la dimensione umana e sociale del Lavoro, riprendendo i valori etici dell’impresa che, con i temi dell’ambiente, caratterizzano l’enciclica “Laudato Si’”.
Sono aspetti che toccano la testa, la coscienza e il portafoglio delle persone, che condizionano il comportamento anche di chi si è (liberamente) caricato la responsabilità di rappresentare una categoria complessa come quella dei Pubblici Esercizi, che si deve porre la domanda se sia ancora attuale una gestione umanistica e più inclusiva nel modo di fare impresa e, cioè, se per Lavoro si intenda ancora il Lavoratore, oppure solo una riga tra i costi di esercizio. Tra l’altro è una riflessione che si inserisce in un contesto come quello attuale, che vede il settore incapace di chiudere il proprio CCNL, per colpe e torti di tutti – Imprese e Organizzazioni Sindacali – e che, quindi, rappresenta un argomento con una evidente contraddizione nei fatti.
Il ragionamento, però, deve andare oltre l’attualità e cercare di estrapolare una visione sui temi fondamentali del Lavoro, utile certamente per la gestione delle cosiddette relazioni industriali, ma ancora di più per circoscrivere i confini di un lavoro produttivo, libero, creativo, partecipativo, solidale e giustamente remunerato. La Fipe è da sempre la sintesi di diverse dimensioni organizzative delle Imprese che rappresenta, tra grandi Gruppi di rilevanza anche internazionale e aziende a carattere familiare, che hanno però fattori comuni nel declinare temi di valenza allargata, che riguardano, cioè, la qualità dell’offerta, la lotta agli sprechi, la sostenibilità ambientale, il contrasto a patologie settoriali (alcolismo, ludopatia, mala-movida, malattie, allergie e intolleranze alimentari, ecc.), la valorizzazione del proprio personale, fattore premiante del servizio erogato, che vede l’inclusione di giovani, donne e immigrati. Le aziende non sono istituti di beneficienza e hanno il dovere di guadagnare, perché grazie al profitto si remunera il capitale e si sostengono investimenti, ma si distribuisce anche ricchezza e si creano posti di lavoro; da tempo le Imprese richiedono condizioni migliori per generare Lavoro buono e stabile, intervenendo sulla legislazione, sulla modernizzazione dei Contratti Collettivi di Lavoro, sulla burocrazia, sui tempi della giustizia, sul cuneo fiscale, sui costi energetici o il credito, perché il Lavoro non si cerca, ma si crea. Le Imprese, infatti, hanno anche una forte funzione sociale, spesso non correttamente interpretata, quando ci si limita a discettare sugli aspetti del profitto e non anche sui benefici e il benessere che trasferiscono. Dove non c’è Impresa, non c’è Lavoro, che porta all’abbandono dei luoghi e ad una inevitabile deriva, anche nei valori. I tempi impongono un abbandono delle ideologie e un rafßforzamento della “spinta gentile”, diventata teoria accademica grazie a Richard H. Thaler, ultimo Nobel per l’Economia, che porti ad un miglioramento del contesto all’interno del quale i fattori produttivi ed umani recuperino il loro vero ruolo, nell’interesse generale, producendo poi benessere e sicurezze allargate
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