18 Settembre 2018
Parlando di vino e cocktail, un paragrafo a sé merita lo Spritz, entrato con prepotenza nelle case e nelle abitudini di consumo degli italiani grazie al traino della pubblicità e delle campagne di marketing di alcune aziende. Aperol in primis. Molti barman, però, non lo amano perché è poco caratterizzante e replicabile ovunque. Alcuni per filosofia non lo preparano nemmeno su ordinazione.
La verità? Noi non condividiamo questa posizione di chiusura assoluta. E qui vi spieghiamo il perché. Intanto, “è facilissimo e velocissimo da realizzare e consente ampi margini di guadagno. Non solo: si presta a delle varianti nel segno del km 0”, evidenza Edoardo Sandri, head bartender dell’Atrium Bar del Four Seasons Hotel di Firenze che tra i signature drink estivi offre un Bellini con prosecco e pesca bianca fresca blendati per un effetto mousse. “I vitigni autoctoni e la biodiversità sono tra i tesori più preziosi che possediamo: in questo senso, utilizzare vini del territorio nello Spritz ci permette di avere una personalità e unicità che diventa un plus”, aggiunge. Non solo: lo Spritz può essere rivisitato con successo.
Due esempi virtuosi: il Moulin Rouge dello stesso Sandri, con prosecco, St. Germain e frutti di bosco e il raffinato Italian Beauty di Guglielmo Miriello. Infine, può diventare uno strumento per diffondere la cultura del bere miscelato e fare scoprire ai clienti nuovi sapori. Come? “Lo Spritz è un cocktail leggero, abbastanza dolce e facile da bere. Ai clienti che lo ordinano abitualmente si può proporre, in alternativa, una variante dell’Americano con due parti di vermouth e una di bitter, quindi più morbido”, suggerisce per esempio Flavio Angiolillo.
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A cura di Matteo Cioffi
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