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19 Febbraio 2019

Le retribuzioni medie dell'Horeca svelate

di Chiara Bandini


Le retribuzioni medie dell'Horeca svelate

Conviene lavorare nella ristorazione? I compensi di chi opera presso hotel, bar e ristoranti sono inferiori o superiori rispetto a quelli percepiti da chi è impiegato negli altri comparti della filiera del cibo, ovvero nell’agricoltura, nell’industria alimentare e nella grande distribuzione organizzata? Le risposte non sono (purtroppo) incoraggianti, almeno stando ai risultati di una ricerca condotta da Spring Professional, società parte di The Adecco Group, in collaborazione con JobPricing sulla base di un database di oltre 350.000 profili retributivi di aziende private. Lo studio rivela che i servizi di ristorazione nel loro complesso sono i meno “generosi” in termini di compensi. Ma – a sorpresa – proprio nel 2017 hanno mostrato interessanti segnali di recupero.

STIPENDI SOTTO LA MEDIA
Partiamo dalle cattive notizie. L’Horeca (acronimo francese che sta per Hôtellerie, Restauration et Cafés, ndr) è fanalino di coda sia rispetto alla filiera del cibo, sia nel confronto con il complessivo sistema industriale italiano: la retribuzione annua lorda (Ral) media è pari a 23.662 euro annui, di molto inferiore agli oltre 29.000 euro della media nazionale. Uno scarto importante – parliamo di 6.000 euro –, su cui incide probabilmente la suddivisione per inquadramento che caratterizza la ristorazione. «A differenza di altri settori – spiega Francesco Manzini, director di Spring Professional –, l’Horeca presenta un’altissima quota di operativi. E questo naturalmente comprime verso il basso il dato medio». Ma non è tutto. «Si deve considerare – aggiunge Manzini – che a sfavore della categoria gioca anche la tipologia stessa delle sue imprese: rispetto ad industry più strutturate – penso, per fare un solo esempio, all’ambito bancario – la ristorazione muove storicamente retribuzioni meno elevate».


DALLO CHEF AL LAVAPIATTI: DIFFERENZE CHE PESANO
La “sofferenza” retributiva dell’Horeca non pesa però su tutti i lavoratori. I compensi delle due fasce più alte – dirigenti e quadri – sono secondi solo a quelli percepiti, nella filiera del cibo, dai vertici dell’industria alimentare. Le figure apicali del settore, insomma, tengono il passo. Anzi di più: tra i dirigenti della food industry, soltanto quelli della ristorazione hanno visto aumentare nel 2017 i propri compensi, mentre in tutti gli altri settori della filiera, le retribuzioni dei manager hanno perso terreno. Ma la musica cambia quando si analizza la parte più bassa della piramide. Con meno di 27.000 euro, la Ral di chi si occupa dei servizi nella ristorazione (gestionali e amministrativi) è la più bassa dell’intera filiera del cibo. E vale il 13,6% in meno rispetto alla retribuzione percepita mediamente da questa fascia di inquadramento a livello nazionale. E non va meglio neppure se si prende in considerazione il compenso degli operativi, che rappresentano ben l’80% della forza lavoro del settore: qui non si raggiunge neanche quota 23.000 euro. Lo scarto però con la media nazionale si riduce al 3,3%.



LO SPRINT DEL 2017

Fin qui le dolenti note. Va detto però – e ora arrivano le buone notizie – che tra il 2016 e il 2017 l’Horeca ha messo a segno il tasso più elevato di crescita della Ral media a livello nazionale –+2,8% –, subito dietro l’Edilizia. Il settore ha fatto nettamente meglio sia rispetto al parametro dell’inflazione (+1,2%) sia rispetto alla media nazionale complessiva (0,2%), che – è bene sottolinearlo – nel 2017 ha subìto una decisa battuta d’arresto rispetto al +2,1% incassato nel 2016. E il confronto appare ancora più favorevole se ci si concentra sulla sola filiera del cibo: l’agricoltura, che come l’Horeca presenta retribuzioni sotto la media del comparto, si è fermata a +1,5%. L’industria alimentare e la grande distribuzione, che partono invece da livelli di Ral superiori alla media, si sono addirittura mosse in territorio negativo (-1,9% e -2,2%).


LA QUOTA VARIABILE

Una seconda buona notizia potrebbe rivelarsi, in prospettiva, il rafforzamento della quota variabile, ovvero di quella parte della retribuzione corrisposta al raggiungimento degli obiettivi, che di norma si va ad aggiungere a compenso di base e che può essere rappresentata da bonus, incentivi, premi di risultato, premi di partecipazione. «In Italia – osserva Manzini – si tratta di un’abitudine ancora poco praticata, a differenza di quanto accade nei Paesi anglosassoni. Ma, stando alle più recenti rilevazioni, il fenomeno si va diffondendo anche qui da noi: è quindi prevedibile che nei prossimi anni si consolidi». E a beneficiarne potrebbe essere anche la ristorazione. Al momento, tuttavia, la quota variabile – che pure è percepita da oltre il 70% dei lavoratori dell’Horeca – incide soprattutto sulle retribuzioni dei dirigenti (16,6%), mentre pesa davvero poco su quelle delle fasce più basse (8,4% per i servizi, 6,3% per gli operativi), secondo una tendenza peraltro comune all’intero sistema industriale italiano.

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