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05 Febbraio 2019Nueromarketing non è un termine che deve intimorire. È semplicemente una branca della neuroeconomia, cioè l'individuazione di canali di comunicazione più diretti ai processi decisionali d'acquisto. Come funziona? Mediante l'utilizzo di metodologie legate alle scoperte delle neuroscienze. Insomma, il marketing è obsoleto e se non vogliamo farci prendere in contropiede dalle nuove tecnologie e dal settore che cambia, dobbiamo adattarci. E capire che un brand, un’idea, un prodotto vanno comunicati al meglio e certe tendenze, molti trend, parecchie mode non vanno seguite ma prevenute, create, imposte, dettate. A farci da cicerone in questo ambito è Vincenzo Russo, Professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso l’Università IULM di Milano. Direttore Scientifico del Centro di Ricerca di Neuromarketing “Behavior and Brain Lab IULM” e autore di diversi testi di neuromarketing.
Professor Russo, cos'è il neuromarketing, dove nasce e da che esigenza?
“Stiamo parlando di un nuovo approccio di studio sulle emozioni. Psicologi e sociologi hanno cercato di analizzarlo da anni. Trattasi di un engagement del consumatore. Una parte del cervello lavora in maniera inconsapevole e quindi come credere ai sondaggi, alle ricerche? Chi viene intervistato è sempre un po' bugiardo: tra gli intervistati nessuno vota per Salvini, nessuno è razzista. Noi invece dobbiamo visualizzare le emozioni. Ci sono strumenti che permettono di capire la veridicità delle risposte. Il neuromarketing è quindi un insieme di più discipline: economia comportamentale, tratta da scienze economiche, dalla neurologia e figlio di tutte le nuove tecnologie. La parola fu usata per la prima volta nel 2002 da Ale Smitds e tutto poi si è sviluppato nelle università. Nacque e si sviluppò il termine neurofocus, poi acquistato e depositato dalla Nielsen. In seguito, sono nati dei laboratori interdisciplinari come il nostro: con ingegneri, esperti in marketing, esperti informatici. Noi siamo partiti nel 2008. Nelle aziende veniva percepito come negativo, e ora tanti si spacciamo per esperti di neuromarketing. L'università ci dà 5mila euro all'anno, così noi ci relazioniamo con le aziende. Stiamo passando ora all'analisi degli spot pubblicitari”.
Il Neuromarketing sembra proiettato nel futuro di film come “Minority Report”. Siamo nel 2019, non sarebbe il caso di fare qualche passo indietro?
“Perché? La ricerca è in fase avanzata. La nostra esperienza dimostra che la metodologia funziona e garantisce agli imprenditori la riduzione di errori sull’efficacia emozionale dei loro prodotti di marketing. Dopo avere iniziato con gli spot finiti adesso chiediamo di valutare anche storyboard, permettendo di risparmiare sul processo creativo avendo maggiori garanzie di efficacia sull’esito finale dello spot. Dopo dieci anni abbiamo raccolto una mole di dati da potere suggerire alle imprese come procedere per avere i migliori risultati dal marketing. In questo ambito occorre sempre una chiave di lettura specializzata”.
Come si migliorano i risultati se si ha una rivendita, un bar oppure un ristorante?
“In quel caso c'è un vero mondo, quello della neurogastrofisica. La gastrophysic nasce dalla valutazione di elementi contestuali: dalla musica ai colori, sino ai profumi. La neurogastrofisica è legata all'analisi. Con Apcor, l’Associazione dei produttori portoghesi di tappi di sughero e Amorim Cork Italia (che fa tappi di sughero) stiamo studiando nuove soluzioni. Ogni dettaglio è importante, se coinvolge i nostri sensi. Prendiamo ad esempio l’odore di ammoniaca o di detersivo entrando in un ristorante: è un segno di pulito ma fastidioso e fuori luogo, inaccettabile”.
Utilizzate una Intelligenza Artificiale?
“Lavoriamo con algoritmi che possono valutare l’emozione. Abbiamo 9 ricercatori nel nostro Centro con diversa competenza scientifica. Per la costruzione di un vero e proprio algoritmo ad hoc stiamo creando una rete internazionale”.
Il Neuromarketing migliora il target? Fa centro?
“Genere ed età sono in costante valutazione, poi non bisogna tralasciare le differenziazioni dovute alle specificità dei ceppi etnici. C’è una differenza maggiore a livello di reazioni alle stimolazioni tra un cinese e un italiano rispetto al confronto tra un italiano e un danese. Con una cantina stiamo valutando proprio questi aspetti servendoci anche di studi e ricerche del campo della genomica”.
Come e quando si associa questa scienza a un brand?
“Solitamente dopo uno spot, per valutare le reazioni del pubblico. Stiamo spingendo per lavorare insieme soprattutto con marchi legati al food. Sempre più spesso rileviamo un crescente interesse da parte delle agenzie creative e delle aziende che vogliono essere supportate nella valutazione dell’efficacia delle scelte creative. Prima si lavorava solo affidandosi alla bravura professionali e/o alle reazioni più istintive. Oggi, anche tra i piccoli imprenditori, si può testare prima uno spot o un’etichetta. Perché, allora rischiare?”.
Come può essere applicato il Neuromarketing da chi non ne è esperto?
“Si dovrebbe interfacciare con chi veramente ha esperienza e usa metodologie efficaci. Per esempio, i centri di ricerca universitari o strutture in grado di dimostrare l’uso di strumenti e procedure affidabili.”.
Stiamo arrivando ad approfondire ed appagare quindi tutti cinque i sensi?
“Sì ma molti lo fanno a parole. La polisensorialità non si sa valorizzare al meglio e sfruttare. Sempre più le ricerche neuroscientifiche segnalo la potenza dell’effetto congiunto dei diversi sensi. Anche in questo caso occorrerebbe valutare gli aspetti legati a consapevolezza e inconsapevolezza. La corteccia olfattiva lavora in modo inconsapevole”.
Quali sono i maggiori inganni (al cervello)?
“Siamo macchine emotive che pensano e non macchine pensanti che si emozionano, per questo siamo soggetti ad errori e bias cognitivi. Anche la percezione può essere l’esito di un processo apparentemente veritiero. La percezione è una ricostruzione di ciò che sta nella realtà e le aspettative possono modificare cià che percepiamo. Sappiamo inoltre che esistono sensi dominanti in grado di influenzare i nostri vissuti. Cosi per esempio la visione. In fondo sappiamo che nel nostro cervello circa il 50 per cento delle cellule cerebrali sono deputate alla visione, senso dominante e solo l’1 per cento è dedicato al gusto. Per questo motivo gli stimoli visivi sono in grado di modificare ciò che gustiamo. Segue, come senso dominante, l’udito e poi ancora l’olfatto”.
Chi dovrebbe fare maggiore attenzione agli aspetti di neuromarkenting?
“Tutti, ma in buona parte il comparto del food. Col cibo entriamo in contatto con gli altri, ci relazioniamo, il cibo ha una fortissima connotazione emozionale. Ovviamente tutti i comparti commerciali sono importanti e connessi con il tema dell’emozione come per esempio il beauty o lo sport”.
Come si posiziona il neuromarkenting nei confronti del marketing classico?
“Se ne serve. Uno sviluppa e l'altro misura”.
Il permission marketing potrebbe aiutare a commettere passi falsi nelle scelte e ottimizzare una comunicazione mirata?
“Il permission marketing serve a individuare il target. La struttura è giovane/adulto, uomo/donna. La fase razionale è legata al marketing e invece il neuromarketing puro”.
Lei scrive libri. Non sarebbero ancora più utili filmati con delle slide?
“Abbiamo già tenuto delle neuro pills valutando colore, profumo e altro durante una lezione in un’enoteca, La Bottega del Vino di Milano. Molti mi hanno chiesto di usare tutti i sensi, anche della musica a bassa frequenza e ad alta frequenza; abbiamo anche usato sottobicchieri con diverse consistenze, per notare la reazione distinta delle persone. A 142 pasticceri durante il World Pastry Star organizzato da Iginio Massari abbiamo offerto una mousse su un piatto bianco e una su un piatto nero e ci sono state tante differenti percezioni. I blind test sono fondamentali, sempre. Coca-Cola fece assaggiare la New Coke in un blind: si notò che prima veniva scambiata per una Pepsi e poi si attivavano altre inimmaginabili reazioni”.
State testando anche nuove tecnologie, nuove piattaforme?
“Stiamo cercando di lavorare su attrezzature a basso costo ma ad alta resa, che possano sempre fornire dati affidabili. Stiamo sviluppando una sorta di cruscotto che fungerà da vero personale classificatore”.
Come usare il Neuromarketing per aumentare le vendite
Sito Internet
Letture consigliate
“Psicologia della Comunicazione Neuromarketing” (2017 – Pearson)
“Neuromarketing, Comunicaziuone e Alimentazione” (2015 - Franco Angeli)
“Comunicare il Vino: tecniche di neuromarketing applicate” edito da (2016 - Guerini – Next)
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A cura di Matteo Cioffi
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