10 Settembre 2019
Una grande varietà tra vitigni, terroir, storiche cantine e vinificazioni anche se, stando alle ultime stime, si cerca sempre di più una “vinificazione tradizionale”, ovviamente senza tralasciare tutte le componenti essenziali per essere competitivi, moderni e al passo con i tempi. Sono alcune delle caratteristiche che contraddistinguono il vino italiano, ormai pronto a trarre le somme del primo ventennio del XXI secolo. A tutto ciò si aggiunge la qualità, ormai componente assoluta della produzione vitivinicola del Balpaese che, monitorando costantemente le altre grandi produzioni mondiali, continua a mettere in bottiglia vini eccellenti da nord a sud dello stivale, fermi e bollicine… gusti a prescindere, s’intende! L’export continua a svolgere un ruolo fondamentale, non solo con i “fedeli di sempre” come Usa, Canada, Germania e Uk, ma anche con mercati un poco più piccoli come quelli del nord Europa, Svezia in primis, che apprezza sempre di più i vini italiani. Da non tralasciare la nuova Via della Seta – consensi e dissensi a parte – dove l’attenzione si concentra sui quasi 130 milioni di euro che posizionano il vino italiano come il prodotto agroalimentare più esportato a Pechino. La ricchezza enologica tricolore piace, anzi, piace sempre di più e molte tipologie che prima erano poco note all’estero oggi hanno un ruolo di prestigio: merito dell’adeguata comunicazione (fattore che in Italia pecca ancora un po’ in alcune regioni) ma, principalmente merito dei vignaioli e degli enologi che sanno ricavare il meglio da un frutto così prezioso come l’uva. Un esempio? Il Primitivo pugliese, sempre più richiesto dai tedeschi che vengono in vacanza per godere della bella Puglia ma ricercato anche in “patria”: se ne apprezzano le note fruttate, il gusto pieno e quella struttura inimitabile che esprime la tipicità della regione.
RISPETTO DELLE VARIETÀ
Una panoramica attenta e scrupolosa, in grado di evidenziare alcuni elementi rilevanti che descrivono il vino anche in fatto di coltivazioni e preferenze, è stata fatta da Riccardo Brighigna, winemaker, enologo di fama internazionale. “Si parte da un’interpretazione del vigneto, delle uve, del territorio, solo così si potranno avere vini unici e rispettosi della loro origine”. Inizia in questo modo Brighigna e da questa prima affermazione, indispensabile per rendere chiaro il suo ruolo, pone subito l’attenzione su un argomento che, soprattutto tra i consumatori, può creare ancora confusione: “Penso sia indispensabile dare maggiori informazioni sulle differenze che ci sono tra vini classificati come naturali, biologici e biodinamici. Ognuno di questi termini racchiude procedure specifiche di lavorazione a partire dal vigneto, senza tralasciare che alcune pratiche di cantina spesso salvaguardano la qualità, la purezza e la tipicità del prodotto”. Attenzione quindi a saper riconoscere tutti questi fattori, soprattutto quando si stappa una bottiglia e si versa nel bicchiere uno dei tanti vini autoctoni e biologici, anche in questo caso in crescita. “La varietà degli autoctoni italiani è unica – continua Brighigna – e questa cosa rende speciale il nostro territorio, visto con grande ammirazione e curiosità. In fatto di biologico… beh, penso che nell’arco di qualche decennio quasi tutta la coltivazione dei vigneti sarà fatta in modo biologico, sarà un passaggio spontaneo e indipendente, ovviamente tralasciando quelle zone che per questioni legate al clima o al terreno la coltivazione biologica è assai complicata”. Varietà produttive, lavorazione ma anche nuove (o quasi) aree di coltivazioni, ecco un altro fattore sul quale porre l’attenzione. “Ci sono territori in Italia che, nel giro di poco tempo, sono stati presi quasi d’assalto – conclude Brighigna . Parlando dell’Abruzzo, ragione nella quale ho un’intensa attività, mi viene in mente la piana di Ofena, una zona particolare a 500 metri di altitudine sul livello del mare, soggetta a forti escursioni termiche con un microclima ideale per avere vini eccezionali: tutto ciò regala una bella acidità a prescindere che si tratti di vini rossi, bianchi o rosati”. Sembra quasi una ‘riscoperta’ di alcuni angoli italiani capaci di trasformare i vini in nettari preziosi, riconosciuti per qualità e bontà non solo dal pubblico degli appassionati ma anche da quello dei grandi intenditori e dai grandi viticoltori che, non appena identificano un’area specifica, ne acquistano ettari e proprietà destinati a grandi fortune: un esempio su tutti, oramai conosciuto a livello internazionale, è l’Etna. Una scelta dettata anche da un clima sempre più difficile da gestire per l’agricoltura, ecco perché si preferiscono aree più fredde sia per latitudine che per altitudine.
[caption id="attachment_162046" align="aligncenter" width="575"] Maria Grazia Mammuccini e Roberto Droandi con (da sinistra) uve Foglia Tonda, Pugnitello, Lacrima del Valdarno e Barsaglina[/caption]
BIODIVERSITÀ E CLIMA
Della stessa opinione per quanto riguarda la produzione del biologico è Maria Grazia Mammuccini, dell’ufficio di presidenza FederBio: “Ci si impegna sempre di più per salvaguardare la biodiversità dei vitigni e la sostenibilità viene vista come un elemento che dà supporto alla qualità del vino, soprattutto quando si parla di un vino legato al territorio, anche nelle piccole denominazioni”. I dati danno ragione a queste preferenza volta a esaltare l’unicità di ogni singolo vino attraverso coltivazioni sostenibili, visto che in circa 10 anni gli ettari di vite biologica in Italia sono abbondantemente raddoppiati, quasi triplicati: 40.480 nel 2008 contro i 105.384 nel 2017. Oltre alla diversità nel gusto che i vini biologici da vitigni autoctoni possono offrire c’è un’altra questione con la quale tutti i viticoltori devono fare i conti, ossia le trasformazioni arrecate dai cambiamenti climatici. “Molte cose stanno cambiando, influiscono e creano complessità nelle aziende – continua la Mammuccini – come le temperature che aumentano anche se la vite ha radici profonde per trovare acqua; i problemi di siccità sono sempre più frequenti insieme ad eventi climatici estremi come gelate e grandine che possono arrecare danni consistenti e ridurre molto la produzione come è successo nel 2017. Lo sforzo è quello di adattarsi a tutti questi mutamenti, affrontarli e cercare di limitare al minimo i danni; ecco perché gli autoctoni e la coltivazione biologica possono essere uno strumento importante per l’adeguamento ai cambiamenti climatici perché ogni pratica viticola viene adottata in base alle specificità locali”.
IL FUTURO IN ROSA
Parlando del successo del vino italiano e degli infiniti consensi che ottiene dagli esperti di tutto il mondo (e dai buoni bevitori), non si possono non citare le “amate bollicine”, in particolare quelle venete del Prosecco che sono diventate un vero e proprio esempio di successo globale. Prosecco sì… ma, oramai da un po’ di tempo, si sente citare il Prosecco Rosé, una rivoluzione in fatto di produzioni e disciplinare. “L’obiettivo di parlare ufficialmente di Prosecco Rosé era stata fissata per la vendemmia 2019 – spiega Luca Giavi, direttore del Consorzio di Tutela della Denominazione di Origine Controllata Prosecco – ma sarà difficile, abbiamo ancora diversi aspetti da considerare, soprattutto con l’assemblea dei soci”. Un prodotto interessante, capace di affrontare il mercato con una produzione attorno al 10% dei volumi attuali. “Il Rosé dovrà giungere sul mercato a un prezzo più elevato della media dei bianchi a scaffale – continua Giavi – e dovrà esprimere al meglio le tante caratteristiche organolettiche e le qualità delle uve di pinot nero, contemplate nella vinificazione”. Un argomento di certo stimolante, ricco di attese sia per il target “classico” di chi sceglie il perlage veneto (con cifre imponenti anche nel mercato estero), sia per i nuovi appassionati- intenditori come i millennials, sempre sotto la lente d’ingrandimento in fatto di gusti e preferenze.
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A cura di Matteo Cioffi
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