15 Ottobre 2019
"Era diventato un affare personale, nessuno deve permettersi di toccare il mio lavoro” parola di Roxana Roman. Per questo la barista 34 enne di origini romena, titolare del Roxy Bar all’Anagnina, periferia della Capitale, non si è tirata indietro, non ha accettato la prepotenza e ha denunciato gli aggressori appartenenti al clan dei Casamonica, responsabili di episodi di violenza nel suo locale. Coraggio e sangue freddo, dunque, che hanno portato la sua storia alla ribalta delle cronache, additata come esempio di responsabilità e coraggio civile. Tanto da farle a ragione meritare il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, conferitole dal presidente Sergio Mattarella «per il suo contributo nell’affermazione del valore della legalità». E per motivazioni simili anche la Fipe ha voluto premiare Roxana, il giorno della festa della donna per il suo impegno e la sua passione quotidiani nel mondo del fuoricasa. Ma riavvolgiamo rapidamente il nastro, per arrivare a quel fatidico giorno. “Non era il mio turno: al bancone c’era mio marito Mariano. Sono entrati con spocchia e con l’intento chiaro di prevaricare, alzando fin da subito i toni con insulti a noi romeni. E quando una nostra cliente ha cercato di smorzare le offese, se la sono presa anche con lei. E poi è successo quello che è successo: violenza contro Mariano e contro la cliente.” Un episodio intollerabile. E infatti Roxana non lo ha tollerato: ha chiamato i carabinieri. “E stavo pure per denunciare l’episodio alla TV” – ci dice – Ma poi la TV è venuta da sola (sicuramente l’eco dei social non è estranea alla cosa). E gli aggressori sono stati assicurati alla giustizia.
Paura di ripercussioni?
No: ha prevalso il desiderio di difendere quello che era mio. Nel bar ci ho “buttato sangue”, ho investito anni di lavoro e non saranno i prepotenti a metterlo in pericolo. Io sono in Italia da quasi 16 anni, nel 2012 ho rilevato il locale e a poco a poco, insieme a Mariano, lo ho ristrutturato. Oggi è casa nostra. Qui sono nati e cresciuti i miei figli. Dietro quel bancone ho lavorato senza sosta, persino con il pancione. Riesce a immaginare cosa voglia dire subire soprusi a casa propria, vedere oltraggiati i propri spazi, offese le persone che ti stanno vicine? Non ho più accettato di subire.
A mente fredda, cosa pensa di quello che ha fatto?
Ne sono orgogliosa, anche perché il mio non è stato un gesto straordinario: questa è (o almeno dovrebbe essere) la normalità. In questo paese serve un cambio di mentalità: la prepotenza non va coperta, ma denunciata. E sono felice dei riconoscimenti ricevuti, perché spero siano da esempio e dimostrino, specialmente a chi ha ancora paura, che le istituzioni ci sono e stanno a fianco di sceglie la via della legalità.
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A cura di Matteo Cioffi
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