09 Gennaio 2013

Ristorazione. Le prospettive del settore

di Luciano Sbraga


Ristorazione. Le prospettive del settore

Le misure volte al risanamento dei conti pubblici associate ad un sensibile deterioramento del mercato del lavoro hanno determinato, per il quarto anno consecutivo, una riduzione del reddito disponibile reale delle famiglie con il conseguente ridimensionamento della domanda per consumi.
Per l’anno in corso e il 2013 le prospettive appaiono nettamente negative, con un peggioramento rispetto alle valutazioni dei primi mesi del 2012. Si profila un biennio recessivo con una consistente contrazione del prodotto interno lordo superiore al 2% nel 2012 e dello 0,5% nel 2013.
Il peggioramento del mercato del lavoro, nonché gli inasprimenti fiscali attesi soprattutto sul piano delle imposte indirette, avranno un pesante impatto sulla domanda interna con una flessione dei consumi delle famiglie del 3,2% nel 2012 e dello 0,7% nel 2013.
Proseguirà la caduta degli investimenti (-7,2% nel 2012), mentre il modesto andamento dell’export (+1,3%), pur in presenza di una contrazione consistente delle importazioni (-7,9%), non potrà contribuire, se non in misura trascurabile, alla crescita via esportazioni nette.

I consumi delle famiglie
I consumi delle famiglie risentono della progressiva perdita di potere d’acquisto e dei bassi livelli raggiunti dal clima di fiducia che, nei mesi estivi, si è stabilizzato sui minimi storici. Nel secondo trimestre del 2012 la spesa delle famiglie è scesa dell’1% sul periodo precedente, registrando il quinto calo consecutivo. I consumi per servizi sono nuovamente diminuiti, dello 0,4%. La propensione al risparmio delle famiglie è ancora diminuita, collocandosi poco sopra l’8%, anche per l’esigenza delle famiglie di ridurre solo gradualmente la spesa per consumi. Gli indicatori congiunturali non delineano un recupero della spesa per consumi nei mesi più recenti e secondo le previsioni più accreditate il consuntivo di fine anno farà segnare una riduzione reale della domanda privata nell’ordine del 3,2%. La situazione dell’Italia è pressoché unica nel panorama europeo. Tra il 2000 ed il 2012, nel nostro Paese, i consumi delle famiglie sono cresciuti (anche se parlare di crescita è un po’ eccessivo) ad un tasso medio annuo dello 0,03% a fronte di una media dell’area euro dell’1,1%. Il risultato è che nel periodo la crescita cumulata della domanda privata è stata in Italia dello 0,4%, in Francia del 17,4%, in Spagna del 16,3% e nel Regno Unito del 20,6%. Solo la Germania ha fatto meno, tuttavia sempre meglio di noi, potendo contare per la crescita su tassi di esportazioni più robusti dei nostri.

… e nella ristorazione?
Nel 2012 la spesa delle famiglie in servizi di ristorazione dovrebbe subire una contrazione reale del 2,5%. Una flessione robusta ma assolutamente in linea con le evidenze della congiuntura di settore e soprattutto con le previsioni sui consumi delle famiglie che vengono fissate a -3,2% sul 2011. Nel lungo periodo che parte dal 2000 e arriva ai giorni nostri il tasso medio annuo di crescita della domanda nella ristorazione è stato di appena lo 0,4% a testimoniare del diffuso quadro di difficoltà in cui si trova il settore fin dall’inizio del nuovo secolo. Si interrompe, così, un periodo di lunga e robusta crescita iniziato a partire dagli anni ’70 quando i tassi di crescita medi annui erano del 3-4%. Solo la crisi del ’92-’93 ha rappresentato un elemento di discontinuità nel lungo percorso di crescita della ristorazione italiana, almeno fino alla fine degli anni ’90. Tra il 2000 ed il 2005 si è registrata una crescita dello 0,2% medio annuo. Nei due anni successivi la domanda ha ripreso a crescere fino ad azzerarsi nel triennio che va dal 2008 al 2010. La lenta ripresa della domanda complessiva registrata nel 2010 ha avuto effetti positivi anche sui consumi nella ristorazione che, tuttavia, sono aumentati di meno di mezzo punto percentuale.
Ma c’è anche un rovescio della medaglia che deve essere attentamente valutato. Nel quadro generale di una domanda che resta debole persino nella componente alimentare domestica, i consumi fuori casa mantengono, tuttavia, un profilo incoraggiante soprattutto se rapportati a quelli rilevati nei principali Paesi europei. a crisi, infatti, ha lasciato il segno nei consumi alimentari fuori casa di quasi tutti i principali Paesi europei. Nella media della zona euro si è dovuto registrare nel periodo a cavallo della crisi (2007-2011) un tasso medio annuo di decrescita pari allo 0,8%. A livello di singoli Paesi le cose sono andate anche peggio: in Spagna -2,3% e nel Regno Unito -1,8%. L’Italia ha tenuto le posizioni con un +0,5%. Un valore modesto che, tuttavia, assume un significato importante se messo in relazione, come abbiamo detto, alla pessima perfomance dei consumi alimentari domestici nel nostro Paese. In Europa solo il Regno Unito è riuscito a far peggio con una flessione media annua del 2,1% contro l’1,6% dell’Italia. La ristorazione dovrebbe recuperare qualche posizione nel 2013 quando la crescita reale della domanda potrebbe crescere all’interno di una forchetta compresa tra lo 0,5% e l’1% che, per quanto modesta, risulterà in controtendenza rispetto alla dinamica generale dei consumi ancora caratterizzata dal segno meno. Naturalmente ciò dipenderà da quanto si verificherà sul versante delle aliquote IVA a partire dall’1 luglio del 2013. Tuttavia, le ultime indicazioni che vengono dall’esame della legge di stabilità lasciano intravedere spiragli positivi quantomeno per il mantenimento dell’aliquota del 10 per cento.

Natalità-mortalità delle imprese
Lo stato di sofferenza della domanda interna non impatta negativamente soltanto sulla rete della distribuzione commerciale. È da almeno tre anni che anche i saldi imprenditoriali della ristorazione presentano il segno meno: -4.057 nel 2009, -5.474 nel 2010 e -8.857 nel 2011. Benché si tratti di valori che includono anche le cancellazioni di ufficio, ovvero il risultato di quell’attività amministrativa di pulizia dei registri tesa ad eliminare imprese da tempo inattive, la situazione rimane pesante. Il trend negativo è destinato a proseguire anche nel 2012. Nei primi tre trimestri dell’anno 2012 il saldo è pari a -6.155 unità con un numero di cancellazioni d’ufficio di 1.513 unità. Sotto il profilo territoriale il quadro è generalmente problematico. L’unica eccezione, a livello regionale, è rappresentata dalla Valle d’Aosta dove il saldo è positivo per undici unità.

Il valore aggiunto
Il valore aggiunto della ristorazione è stato nel 2011 di 41 miliardi di euro. La serie storica a valori concatenati che neutralizza gli effetti della dinamica inflazionistica dà per lo stesso anno un valore di poco al di sopra dei 37 miliardi di euro in lieve crescita rispetto all’anno precedente. Il valore aggiunto ha subito una significativa flessione nel 2009, per tornare (leggermente) a crescere sia nel 2010 che nel 2011.  È assai probabile che data l’attuale dinamica dei consumi si registrerà a fine anno un’inversione di tendenza con una contrazione reale del valore aggiunto del settore. La traiettoria della crescita del valore aggiunto nell’ultimo decennio presenta tre distinte fasi:
1. fino al 2003 le performance del settore sono state inferiori a quelle riferite all’intera economia con l’eccezione dell’anno giubilare del 2000;
2. tra il 2004 ed il 2007 c’è stata una sostanziale sovrapposizione tra le due curve ad indicare trend omogenei;
3.dal 2008 al 2011, a cavallo della grande crisi, la capacità di resistenza della ristorazione è stata significativamente superiore a quella dell’intera economia, cosa che si è riflessa, per puro effetto statistico, sul minor tasso di crescita registrato nel 2010 prima di tornare a salire l’anno successivo.

L’occupazione
L’input di lavoro, misurato in unità di lavoro standard, del settore dei pubblici esercizi conta oltre un milione di unità. Il lavoro resta la componente essenziale per la produzione dei servizi di ristorazione e, più in generale, del turismo.
Ed infatti la crescita del prodotto generalmente si accompagna alla crescita dell’occupazione, mentre la contrazione non si scarica automaticamente sui livelli occupazionali. Durante la crisi, infatti, l’input di lavoro nelle imprese di ristorazione è risultato complessivamente in crescita. Tra la fine del 2007 e il 2011 la ristorazione ha visto crescere il numero di unità di lavoro di circa 25 mila unità. La crisi ha scaricato i propri effetti principalmente sul lavoro indipendente che solo nel corso del 2011 è tornato moderatamente a crescere dopo un biennio di flessione. In tal modo il peso del lavoro dipendente è progressivamente cresciuto fino a superare la soglia del 60% anche se dobbiamo attenderci una certa stabilizzazione nel rapporto trattandosi di un settore fortemente caratterizzato dalla micro-impresa e con un significativo ruolo di ditte individuali a conduzione familiare. Il risultato è che nel panorama europeo la dimensione media delle imprese italiane è tra le più contenute. A fronte di un valore pari a 4,9 nella media dell’Unione europea, il nostro Paese presenta un valore di 3,9 addetti per impresa. Abbiamo certamente una più forte presenza di microimprese (fino a nove addetti) ma dove la distanza con gli altri Paesi, in particolare con quelli economicamente più vicini a noi,  è più marcata è nella fascia che comprende le piccole e medie imprese, ovvero tra dieci e duecentocinquanta addetti. Perché anche in termini di grandi imprese abbiamo da dire la nostra.

La produttività
Il tema produttività è sempre di più all’ordine del giorno del dibattito sulle prospettive economiche del nostro Paese. Ad essa sono agganciate tante variabili a cominciare dalla remunerazione del fattore lavoro attraverso la contrattazione di secondo livello. L’Italia sconta una duplice criticità:
1. un valore assoluto della produttività mediamente inferiore a quelli dei principali competitor;
2. un tasso di crescita della produttività in sostanziale stagnazione da circa un decennio. Dentro questo contesto lo stato della ristorazione appare ancor più problematico. Fatto cento il valore aggiunto per unità di lavoro riferito all’intera economia, la ristorazione si attesta a 60, ovvero il 40% al di sotto del valore medio. Un dato che sorprende solo parzialmente considerando che la ristorazione è un servizio ad alta intensità di lavoro. La produttività del settore non soltanto è bassa, ma è andata progressivamente calando nel corso dell’ultimo decennio.  Tra il 2000 ed il 2011 è scesa di dieci punti percentuali. In effetti la dinamica della quantità di lavoro utilizzato dal settore negli anni della crisi non ha affatto favorito il miglioramento della produttività. Il settore avrebbe bisogno di una fase di profonda ristrutturazione che passa per la riduzione del numero delle imprese, per un modello d’offerta a minor contenuto di servizio o per entrambe le cose. La strada del cambiamento di modello, considerando i tanti punti di forza del nostro, rischia di trasformarsi in una involuzione anziché in una evoluzione. Riconvertire la ristorazione italiana fondata su un elevato ed indiscutibile livello di servizio e su una spiccata segmentazione del prodotto secondo lo schema mutuato dal modello anglosassone (modello duale: pochi ristoranti di fascia elevata, moltissimi ristoranti low price) non appare una strada percorribile e soprattutto vantaggiosa per il sistema Paese. Si tratta, allora, di individuare processi interni che conducano ad una maggiore efficienza del sistema e che riguardano gli approvvigionamenti delle materie prime, l’utilizzo delle risorse umane, il marketing e le tecniche di vendita, la tecnologia.

La dinamica dei prezzi
L’inflazione acquisita a settembre 2012 è del 2,0%. Da oltre un anno il profilo dei prezzi della ristorazione e quello generale viaggiano su due linee parallele con un divario di oltre un punto percentuale. È ragionevole presumere che tale dinamica verrà mantenuta almeno fino alla fine dell’anno in corso.
Il contributo maggiore a tenere giù l’inflazione di settore continua a venire dalla componente dei ristoranti. Rispetto ad un anno fa i prezzi di ristoranti sono aumentati dell’1,8% e quelli delle pizzerie del 2,1%. Nel canale bar i prezzi della caffetteria continuano a tenere un profilo di moderazione con un incremento medio sull’anno precedente del 2,4%. A fine anno la variazione media dei prezzi dei servizi di ristorazione è attesa nel 2,1%.

TAG: CONSUMI,OCCUPAZIONE,PRODUTTIVITà

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