29 Agosto 2015
Sembra impossibile, ma fare radio in store è anche più difficile che fare una radio commerciale. A dirlo è Massimo Petrella di Tailoradio, una delle tre società di radio in store che abbiamo ascoltato per una panoramica di questa particolare forma di comunicazione all’interno dei punti vendita. Sembra impossibile, ma se ci si pensa non può essere che così, considerando che se una normale radio commerciale deve “solo” intrattenere e informare, una radio in store ha anche una finalità promozionale (che però è diversa da quella della pubblicità classica) e un importante scopo di brand awareness.
I dipendenti, innanzitutto - Prima di affrontare questi temi, è bene però partire da un’altra caratteristica distintiva di questo tipo di comunicazione, una caratteristica a cui spesso non si fa caso. Destinata in primis ai clienti/consumatori, la radio in store è fruita anche, e soprattutto, da chi nei punti vendita lavora. Un fatto questo che deve suggerire delle cautele, ma che riserva anche delle opportunità. “C’è un problema che molti sottovalutano, e cioè che i dipendenti dei punti vendita ascoltano la radio per otto ore al giorno, e senza averlo scelto” segnala Massimo Petrella. “Ciò fa sì che si debba essere molto attenti a programmare un elevatissimo numero di brani con un basso numero di ripetizioni per brano, e una programmazione nuova ogni giorno. Allo stesso tempo, si può usare la radio in store come veicolo per informare/formare il personale”.
Detto questo, a cosa serve davvero una radio in store? “Non si tratta di pubblicità in senso stretto” spiega Massimo Petrella. “In fondo chi ascolta si trova già all’interno di un punto vendita, quindi non deve essere convinto a scegliere quel determinato supermercato, ma deve piuttosto ‘sentirsi parte di un mondo’, percepire un determinato lifestyle, oltre che essere informato di una serie di offerte o occasioni”. Gli fa eco Roberto Pinna, del Network Radio Personalizzata: “Mentre nella radio generalista, gli spot presentano un prodotto, che poi il consumatore/ascoltatore dovrà andarsi a cercare altrove, nella radio in store, il prodotto è già lì. Quindi si lavora soprattutto sull’induzione all’acquisto, attraverso un grande lavoro di persuasione, basato su testi e musiche studiati per giorni e giorni”.
La chiave è la personalizzazione - Su una grande necessità di personalizzazione concordano tutti gli intervistati, anche se le formule messe in atto da ciascuno differiscono. “La personalizzazione è fondamentale” sostiene Petrella. “Non ci si può permettere di offrire delle radio ‘precotte’, uguali per qualsiasi catena di negozi. Noi da sempre facciamo una programmazione diversa per ogni punto vendita anche all’interno di una stessa catena. Ogni supermercato poi ha la sua specificità. Per esempio per una catena che punta molto sull’italianità programmiamo brani quasi esclusivamente italiani. Il palinsesto musicale cambia a seconda del momento della giornata e del giorno della settimana (più morbido la mattina, più energico il pomeriggio”. Aggiunge Pinna: “Nel Network Radio Personalizzata, la programmazione, viene diversificata soprattutto per quanto riguarda i contenuti, che, giustamente, possono essere diversi, a seconda delle promozioni e delle offerte che variano a livello areale, regionale, o addirittura da città a città”. Ma per Roberto Pinna la personalizzazione non vale per la musica: “Ben diverso è il discorso musica. Una volta capito e introdotto il format musicale del brand, difficilmente viene diversificato: la musica del brand è quella, ed è uguale per ogni punto vendita. Riteniamo abbastanza superato e anacronistico anche il concetto di fascia oraria. Se identifichiamo una canzone, adatta alla stationality di un brand, la suoniamo indifferentemente a qualsiasi ora. Perché siamo sicuri delle nostre scelte”.
Parzialmente diverso poi il caso di Radiocoop, oggi RadiocoopTV, storica radio interna all’universo Coop, ma che pure deve sopperire a necessità di diversificazione analoghe a quelle delle altre aziende di radio in store. “Nasciamo nel 1997, agli albori della radio in store, che fino a quel momento si limitava a essere una specie di filodiffusione” racconta il direttoreMassimo Marchetta. “La radio in store è una forma di comunicazione che è partita in sordina ma che si è sviluppata in modo interessante. La programmazione di ogni singolo punto vendita è il frutto dell’assemblaggio di più livelli. Il primo livello è quello nazionale. Le direttive di marketing arrivano da Coop Italia, che commissiona anche dei contenuti, i quali vengono proposti nelle varie cooperative (ad esempio Coop Adriatica per Emilia e Veneto). Non è scontato che le cooperative accettino i contenuti del Nazionale. Poniamo ad esempio il caso di un’iniziativa solidale proposta a livello nazionale ma che in un determinato territorio è appena stata fatta. Il grado di personalizzazione è alto perché su dodici passaggi orari, Coop Italia ne copre in media due o tre, mentre tutti gli altri sono appannaggio della singola cooperativa (dai sei agli otto) o del singolo punto vendita (dai due ai quattro). È un lavoro complesso, perché gestiamo più di 900 punti vendita Coop, Librerie.Coop. Enercoop e SAIT (su 1.200 totali: alcuni, infatti, usano strutture esterne)”. Un diverso elemento di personalizzazione è poi la possibilità, concessa da alcune Coop, di segnalare in radio durante l’orario di apertura i compleanni o altre ricorrenze dei loro dipendenti. “È un bel riconoscimento per i dipendenti, che crea per giunta un bel clima con i clienti” spiega Marchetta.
Musica e parole - Gli elementi sono sempre quei due: i brani musicali e gli intermezzi parlati. Le diverse ricette hanno a che fare col contenuto di ciascuno e col modo in cui vengono miscelati. “Abbiamo verificato delle regole che secondo noi funzionano” dice Petrella: “Spot: brevi e incisivi, e non troppo infarciti di informazioni. In secondo luogo l’alternanza un brano-uno spot non funziona: meglio programmare due, tre o quattro brani e poi fare un’interruzione, magari accorpandovi due messaggi. Infine va cambiato anche il tipo e l’intensità dei messaggi promozionali: più diluito la mattina, in cui si immagina che si faccia la spesa con tempi più rilassati, più pressante nelle ore serali in cui la clientela magari uscita dal lavoro acquista più frettolosamente”.
Massimo Marchetta di Radiocoop aggiunge: “Non facciamo caroselli di spot, ma alterniamo una canzone e uno spot. Il palinsesto è, infatti, costituito dalla sequenza di un brano musicale e un intermezzo parlato (pubblicitario e/o informativo), di breve durata. Nel caso in cui fosse uno spot commerciale, la comunicazione è chiara e diretta. Sono solo evidenziate le caratteristiche del prodotto, il prezzo ed eventualmente la sua ubicazione all’interno del punto vendita. In questo modo lo spot è percepito dal socio/consumatore come reale servizio d’orientamento e non come pubblicità di un prodotto a scapito di un altro o ancor peggio di pubblicità fine a se stessa. Dedichiamo la massima attenzione alla musica, con un mood che abbiamo definito ‘soulare’, e grande attenzione ai gruppi emergenti o indipendenti. Radiocoop cerca infatti di favorire la programmazione di avanguardie musicali e movimenti innovativi legati al mondo delle etichette indipendenti, promuovendone la diffusione solitamente negata dai circuiti tradizionali”.
Infine Roberto Pinna di Radio Personalizzata: “Radio Personalizzata ha la mission di divertire, prima di ogni cosa, l’ascoltatore. Ciò deve avvenire attraverso la scelta di voci particolarmente gradevoli e brillanti. Allo stesso modo, il palinsesto musicale, deve offrire una compilation sempre aggiornata di musica contemporanea, attenta alle nuove uscite discografiche italiane e internazionali. Con una percentuale di canzoni lente non superiore al 20% della programmazione. Con queste basi, possiamo pensare di incontrare i favori del nostro cliente/ascoltatore, e quindi, di trovarlo più disponibile, nel momento in cui proponiamo l’acquisto di un prodotto. La parte musicale, nel 100% dei casi, è lasciata totalmente alla nostra libera interpretazione. In questi ultimi due anni, il Music Designer è diventato una figura praticamente indispensabile per una grande azienda. Anche le più importanti agenzie di comunicazione, sono ‘costrette’ a rivolgersi a realtà come le nostre, per soddisfare questa nuova, fondamentale, esigenza del mercato. Ovviamente, il Music Designer non è altro che una delle tante declinazioni del DJ. Non puoi fare questo lavoro, se non sei un DJ. Ci vuole una conoscenza musicale profonda e vastissima, per disegnare e raccontare, in musica, l’identità di un brand”.
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