15 Marzo 2016
Il mondo dei fast food si mette in discussione. La sfida è quella di invertire un trend negativo che vede McDonald’s e compagnia riposizionarsi sul mercato proprio mentre lo stile di vita sta cambiando in favore di un’alimentazione più salubre. Il paradosso emerge anche sull’asse Usa-Italia: mentre nel nostro Paese vengono aperte nuove rivendite e dato il via all’offerta di numerosi nuovi posti di lavoro (grazie all’iniziativa McItalia Job Tour), negli Stati Uniti si lamenta l’andamento al ribasso della catena stessa. “Alla file dei suoi giorni” secondo l’Independent (3000 franchisee gestiscono il 90% della rete: 12.600 punti vendita, dei 14.000 totali: i 29 franchisee citati dal quotidiano britannico sono meno dell’1% dei licenziatari, ndr), il colosso capitanato da Steve Eastbrook nel contempo cerca nuove vie per un definitivo rilancio. A metà dello scorso mese di giugno già si parlava di “Crisi McDonald’s” che “chiude più locali di quanti ne apre” (ben 700 rivendite hanno abbassato la serranda per la prima volta nelle ultime quattro decadi). Senza contare che proprio nello stesso periodo, proprio dagli Usa, è deflagrato come una bomba il primo sciopero a carattere internazionale dei lavoratori di fast food (con quelli italiani che hanno incrociato le braccia con un giorno di ritardo). Le richieste dei lavoratori? Diritti e migliori condizioni salariali. Dall’Oceania all’America passando per l’Africa e l’Asia, sino alle iniziative di Cgil, Cisl e Uil.
[caption id="attachment_94862" align="alignleft" width="300"] Banco, via Ostiense 40 a Roma 2[/caption]
#carnerossa. L’hashtag sui social non perdona Così, in barba al suo Baconator, basato sull’utilizzo di una montagna di bacon (accusato, secondo l’International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’Oms, di rientrare nelle carni rosse non lavorate, inserite fra le “probabilmente cancerogene”), il luglio scorso Wendy’s (terzo fast food Usa che potrebbe nuovamente sbarcare prossimamente in Italia - da noi aprì e chiuse negli anni Ottanta) ha tentato la via di un panino vegetariano. Carne rossa che duella con carne bianca, allora: l’ennesima contraddizione sul territorio tricolore è lo sbarco e la rapida espansione di Kentucky Fried Chicken (società del gruppo Yum! Brands, che controlla nel mondo anche i marchi Pizza Hut e Taco Bell).
[caption id="attachment_94863" align="alignright" width="300"] Amy’s Drive[/caption]
All’arrembaggio con il suo acronimo, KFC, re incontrastato del pollo fritto, dopo aver inaugurato i primi due ristoranti a Roma e Torino, ha aperto a Chieti e presto taglierà il nastro a Milano. Intanto nascono come funghi le imitazioni della ricetta del colonnello Harland Sanders: oltre a Hello Chicken e CKN&CKN ecco BFC (Best Fried Chicken) a Padova, gestito da cinesi. Questo mentre Domino’s Pizza (altro brand americano) è in fase pionieristica sul nostro territorio. Burger King, attraverso Autogrill (uno dei suoi maggior licenziatari a livello mondiale), rincara la dose nel Belpaese. In Francia, BK ha lanciato un’offerta su Quick, storica entità di ristorazione veloce con 509 ristoranti sparsi tra Francia, Belgio e Lussemburgo (l’operazione ricorda un po’ quello che fece McDonald’s con Brurghy negli anni Novanta). Per Burger King sono in arrivo ben 10mila assunzioni entro il 2020: a dare la notizia è Jesus Cubero, direttore marketing di Burger King Italia. Ciò accade mentre il gruppo Cigierre, che controlla una serie di catene della ristorazione veloce, come Old Wild West, Wiener Haus, Kukkuma Cafè e Arabian Kebab annuncia una media di 25 nuove aperture all’anno.
Innovazione tricolore Da noi una delle catene vegan e in franchising caratterizzata dalle continue aperture è Universo Vegano, che adesso ha allargato la propria formula anche con UV Meal (primi e secondi piatti vegan) e UV Bar (colazioni, cocktails e centrifugati). Oltre all’assenza di prodotti animali, il marchio di Cavaria con Premezzo, in provincia di Varese, fa ora maggiore attenzione agli ingedienti, biologici e a chilometro zero: il progetto Veggy Days, franchising di ristorazione slow basato su alimenti vegetali prevalentemente biologici, ideati nel rispetto delle persone, degli animali, dell’ambiente e delle normative italiane ed europee più severe, ne è un esempio. A giugno a Roma, in via Ostiense al civico 40, si è alzata la serranda di Banco: verdure di stagione, frutta ricca di vitamine, prodotti biologici, polli allevati in libertà, pesce.
AssagGino, in via Moscova 24 (angolo Corso di Porta Nuova) a Milano è invece un locale dedicato al quality fast food made in Italy: servizio veloce per una pausa pranzo in nome della qualità e delle eccellenze italiane, ma in formato... “assaggio”. Il suo manifesto? “Chi ha detto che una pausa veloce non possa essere anche buona? E che la ristorazione fast non possa avere la qualità della cucina italiana? Probabilmente qualcuno che non era curioso e incontenibile come noi. Che invece di arrenderci alla solita minestra ci siamo inventati AssagGino, il primo quality fast food di grande cucina e in mini formato, un assaggino sempre fresco perché preparato e servito in giornata. Dai un assaggino, e ci amerai”. Aperto dalle 9 alle 21, conta su 20 posti a sedere interni e altrettanti esterni. Il suo ideatore è l’architetto Gino Guarnieri. In cucina, Tiziano Medina, chef del Refettorio. Si accodano il Porca Vacca (con il contrasto tra una vasta scelta di carne e una linea per vegetariani) di Grosseto, Viterbo e Porta a Mare (Livorno) e il Mezza Manica con cucina romana.
Ottimizzazione statunitense Negli Stati Uniti la catena Amy’s Kitchen ha deciso di ampliarsi creando il proprio primo fast food con Drive Thru completamente vegetariano. Il primo ristorante è stato quello di Rohnert Park, in California, in una località a Nord di San Francisco. Panini e burritos senza carne, maccheroni al formaggio, pizze, insalate e salse piccanti, frullati e altre bevande salutari: piatti per vegetariani ma anche per vegani, con ingredienti privi di Ogm e si potranno ordinare menù vegan e senza glutine. Più del 95% dei prodotti utilizzati sarà bio e gran parte degli ingredienti sarà di provenienza locale. E dal Texas è partito da tempo alla conquista del nostro paese anche Fuddruckers. Peter Tropoli, direttore operativo di Luby’s Inc. (presente in Usa, Canada, Messico, Polonia, Cile, Puerto Rico, Repubblica Dominicana e Italia), spiega: “Grazie alla nostra collaborazione con Vinum et Alia, in Italia sempre più persone apprezzano il nostro marchio”. Ingredienti di qualità, tra cui il manzo 100 per cento fresco e mai congelato, di origine italiana, panini personalizzati e hamburger cotti solo su ordinazione sono i cavalli di battaglia della catena.
Fenomeno patatine fritte, una moda che invade la penisola Napoli, è scoppiata la mania delle chips “olandesi”. La frittura partenopea tradizionale sembra pronta ad arrendersi davanti all’avanzare di marchi che stanno conquistando i quartieri di Vomero, Chiaia, Toledo, Soccavo. Che il taglio e la cottura siano alla olandese, alla francese o alla belga, poco importa. Oltre alla qualità, in questo caso molto fa il brand e le azioni di marketing correlate: flashmob, assaggi, buoni sconto online, patrocini. I prezzi vanno dal formato king size (5 euro) al medium (3,50 euro) allo small (2,50 euro) sino al comune chips (2 euro). Chipstar. nl (Chipstarfood Srl è una società con sede a Napoli in via De Pretis) è alla conquista di Israele e Emirati Arabi; Chipstreet punta al mercato regionale, così come Patatocchio, Frank Potato, Pure Chips e Just Fries. Senza contare Queen’s Chip Amsterdam che da Roma si allarga a macchia d’olio raggiungendo il nord, o l’indipendente Amor di Patata o, ancora, Amsterdam Chips, fortissima in settentrione.
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A cura di Matteo Cioffi
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