19 Aprile 2016

Il Kunsthistorisches Museum di Vienna c’è la stanza dei balocchi, almeno per me. E’ la stanza dedicata ai caravaggisti. Opere non solo quindi del geniale Michelangelo Merisi, detto per l’appunto il Caravaggio, ma anche di altri pittori che comunque hanno abbracciato la sua idea di pittura. Sulla stessa parete, a poca distanza l’una dall’altra, due tele.
Una è proprio di Caravaggio ed è il “Davide con la testa di Golia” (nella foto in apertura). E’ una rappresentazione classica della scena biblica: il giovane tiene in mano la testa ancora sofferente del colosso. Cade su Davide una luce suadente, di tre quarti, che ne evidenzia la muscolatura fresca e atletica e ne rischiara parzialmente il volto, arrivando a lambire anche la testa mozzata di Golia, tanto da metterne in risalto la
dentatura.
A breve distanza da quest’opera fa mostra di sé “Giuditta con la testa di Oloferne” di Carlo Saraceni (qui a sinistra). La giovane, dal volto apparentemente rilassato, tiene a sua volta il capo mozzato di Oloferne: qui la scena è intimamente illuminata da una fioca candela nelle mani della vecchina che regge il sacco destinato ad accogliere la testa decapitata.
IL MAESTRO E L’ALLIEVO
I due dipinti, che tutto sommato raccontano storie simili di atti eroici e di teste mozzate, mi hanno fatto riflettere sul rapporto tra maestro e allievo, tema centrale per chiunque si occupi di formazione. Carlo Saraceni è infatti considerato un discepolo di Caravaggio, eppure la sua resa pittorica è ben differente da quella del suo mentore: lo stile del genio caravaggesco, così iper-realista da portare i committenti a rifiutare alcune sue opere, si stempera nella più mite pittura di Carlo Saraceni, che gode della delicatezza delle sue origini veneziane. Si ritiene comunemente che il miglior allievo debba superare il maestro: è questo il passaggio che viene classificato spesso come il momento che genera innovazione. Eppure nel caso in esame Saraceni non supera Caravaggio: semplicemente ne trae ispirazione e da lì produce un suo contenuto originale che non è migliore o peggiore di quello del maestro ma semplicemente diverso. Saraceni insomma si ispira a Caravaggio, non ne diventa un emulo. Nel mondo anglosassone è molto amato il termine inspiring per definire questo tipo di situazioni. Credo che chiunque faccia formazione nel mondo del caffè, e non solo, dovrebbe tendere a questo tipo di rapporto con i propri allievi: ispirarli. Il che è molto più difficile che un semplice e puntuale passaggio della propria conoscenza perché significa soprattutto insegnare agli studenti a coltivare anche il dubbio nei confronti del formatore stesso.
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Carlo Odello[/caption]
Essere inspiring vuole dire stimolare lo spirito critico degli allievi che saranno così poi in grado di creare contenuti originali. La buona formazione è quindi quella che genera soprattutto nuove domande negli studenti, non quella che cerca di dare tutte le risposte.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org. Chi fosse interessato a contattarlo, può farlo scrivendo a: carlo.odello@assaggiatori.com
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