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25 Novembre 2013È stata dedicata ai temi del lavoro e della crisi economica la 68° assemblea annuale della Federazione Italiana Pubblici Esercizi aderente a Confcommercio-Imprese per l’Italia, che si è svolta oggi a Venezia.
Un tema cruciale e di fortissima presa per il settore della ristorazione, soprattutto dopo la disdetta da parte di Fipe del contrtto collettivo di lavoro.
«Ci sono settori - ha affermato il presidente della Federazione dei pubblici esercizi Lino Stoppani - che si sono profondamente ristrutturati (come quello bancario), eliminando un numero rilevante di posti di lavoro, recuperando produttività e capacità di creare valore e ce ne sono altri, come il nostro, che non riescono a ristrutturarsi e che non intendono tagliare posti di lavoro, perché penalizzerebbero la qualità del servizio e per questo perdono marginalità e competitività. Su questi elementi, abbiamo provato a proporre alle organizzazioni sindacali qualche ragionamento sul monte ore e straordinari, sui permessi retributivi, sugli scatti di anzianità, sulla gestione delle malattie, sulla 14° mensilità da riformulare all’interno della retribuzione annuale e altri istituti, trovando rifiuto pregiudiziale, nessuna contro-proposta e la proclamazione di scioperi».
La crisi economica nel settore dei consumi fuori casa - sotolinea una nota di Fipe - è stata aggravata dal calo di presenze turistiche, dei consumi e della produttività e anche dall’aumento di una concorrenza sleale a opera di circoli, sagre e feste di partito. Secondo Fipe, il contesto normativo e contrattuale deve essere adeguato alle nuove esigenze del mercato e finalizzato a garantire la redditività delle imprese.
«Nell’anno, tra Iva, Imu, Tares e altre imposte e tasse – sono ancora parole di Stoppani – abbiamo raccolto solo inasprimenti e maltrattamenti. La crisi e la mancanza di una riduzione del cuneo fiscale porgono interrogativi sul futuro del settore e hanno imposto la disdetta/recesso al Ccnl di categoria. Si tratta, dunque, di scegliere fra il subire una trattativa con i soliti rituali, senza nessuna possibilità di incidere sugli elementi di produttività che le aziende reclamano o di accontentarsi di provvedimenti parziali, non strutturali e temporanei oppure provare a dare un segnale che ci è costato sofferenza, ma che riteniamo utile a impostare relazioni sindacali moderne, attente cioè a rilanciare un settore pieno di valori, che ha bisogno anche di contratti di lavoro più rispondenti alle esigenze di un mondo che cambia».
Dati alla mano, l’evoluzione della retribuzione è infatti maggiore dell’inflazione e il settore crea buona occupazione, tanto che i livelli retributivi del settore hanno tenuto anche durante la crisi ed in alcuni casi sono anche cresciuti. Ma gli oneri previsti dalla contrattazione collettiva sono diventati particolarmente gravosi e non più sostenibili. Per aumentare la produttività aziendale è necessario rivedere alcuni elementi contrattuali che fanno scattare incrementi salariali non collegati alle ore lavorate.
Fipe chiede dunque di rompere prassi consolidate e regole non più attuali. È dunque necessario avviare un percorso che ridiscuta gli automatismi salariali con particolare riferimento agli aumenti periodici di anzianità e maggiorazioni e che consenta di ampliare gli spazi per politiche di valorizzazione del merito. La rimodulazione del contratto non è la rinuncia alla contrattazione. Fipe, infatti, intende perseguire un confronto costruttivo con tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori per arrivare ad un nuovo accordo basato sui principi della produttività, flessibilità, qualità, controllo dei costi.
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