bevande
23 Febbraio 2021Argomenti di estrema attualità, su cui manca un accordo assoluto tra i principali player dell’ospitalità italiana. È vero. Ma se ci sono differenze di visione, non mancano anche diversi punti in comune.
Aiuti, ristori e affitti: ecco i temi della seconda tavola rotonda dell’ospitalità, progetto ideato Nicole Cavazzuti per ApeTime.
Lunedì 22 febbraio, in diretta Facebook su ApeTime, si è tenuta la seconda tavola rotonda nazionale in diretta dell’ospitalità con protagonisti Alfredo Zini Presidente di Botteghe Storiche di Milano Monza e Brianza, Aldo Cursano vicepresidente della FIPE, Ferdinando Parisella segretario di M.I.O., Giulio Amorosetti segretario di IHN, Giuseppe Capotosto presidente di Horeca Fondi Uniti e Roberta Pepi fondatrice di Roma più bella. Era atteso anche Claudio Pica vicepresidente di Fiepet, assente per problemi di lavoro.
Su tre questioni c'è comune accordo.
Primo, è indispensabile rivedere comunicazione e soluzioni pratiche legate all'epidemia. "È inaccettabile che il ministro Dario Franceschini, dopo un anno di emergenza sanitaria, affermi ancora pubblicamente che gli untori sono i bar e ristoranti quando è evidente che sia molto più pericoloso prendere i mezzi pubblici che andare in un locale", sbotta Alfredo Zini. Sulla stessa linea Giuseppe Capotosto: “Per me, è assurdo e vergognoso constatare che, dopo i danni e le negligenze inflissi al settore, per il comparto non si faccia ancora abbastanza. Le recenti affermazioni di Franceschini e di Ricciardi sono macigni psicologici immensi. Non possiamo più temporeggiare, servono misure immediate e chirurgiche. Occorre un'apertura nel confronto del settore Ho.re.ca e garanzie. Non basta: serve pure un’azione sinergica tra governo centrale, regioni e province per creare un sistema Paese con medesime politiche territoriali".
A tal proposito, osservo io, sarebbe auspicabile che il governo Draghi seguisse l'esempio del governo francese e decidesse di ridurre la presenza di virologi e scienziati in tv. Un minore numero di messaggi allarmistici e contradditori ridurrebbe sicuramente populismo e preoccupazioni.
Secondo, per agevolare la ripartenza non bastano ristori, prestiti a fondo perduto et similia se poi non si permette al settore dell'ospitalità di lavorare con continuità. Detto questo, non c'è una linea condivisa totalmente rispetto alle modalità e tempistiche della riapertura.
Perché, anche se ovviamente tutti desirerebbero tornare alla vita prima del Covid-19, in molti sostengono che sarebbe più prudente proporre una riapertura graduale, per non mettere in discussione per il momento il coprifuoco.
"La strategia attuale comunque è totalmente sbagliata. La chiusura dei bar alle 18 provoca un concentramento della clientela il sabato e la domenica e, durante la settimana lavorativa, a partire dalle 17:30. Noi così lavoriamo male e -al contempo- i clienti non si godono il momento al bar con serenità perché sono presi dalla foga di consumare prima che scatti il divieto di somministrazione", precisa Ferdinando Parisella.
Terzo, agli imprenditori occorre benzina, in altre parole serve liquidità. La ripartenza non sarà possibile se non saranno studiate misure di sostegno concrete in termini di riduzione delle spese fisse. Considerato che tra le voci più impattanti ci sono gli affitti, l’argomento affitto diventa un nodo centrale. “Se il credito di imposte venisse convertito in liquidità dalle banche per alcuni già sarebbe un grande aiuto. Ma è tutto relativo: gli affitti dei locali nel centro di città come Roma, Milano e Firenze non sono paragonabili a quelli della provincia. C’è chi arriva a spendere anche 70 mila euro al mese”, osserva Roberta Pepi.
"Gli affitti sono il cancro del nostro settore. Non possiamo più aspettare. La maggioranza di noi rischia la pelle. Per non farci fallire, lo Stato deve agevolare la rinegoziazione degli affitti studiando politiche concrete”, commenta Aldo Cursano. Che aggiunge: “L'affitto, se ci pensate, è una forma di redistribuzione di ricchezza prodotta attraverso l'esercizio. Ed eccoci al punto: se lo Stato impedisce all’esercizio di svolgere la propria attività, non è giusto né sostenibile che lo obblighi a mantenere gli stessi costi fissi di gestione, quindi nemmeno le medesime condizioni di affitto”. Non c’è nessuna voce fuori dal coro. “È compito dello Stato fissare una norma specifica per regolare le modalità di supporto per i proprietari dei negozi e per agevolare la rinegoziazione degli affitti”, rimarca Giulio Amorosetti. “Non dimentichiamoci che, se tra privati qualche volta si raggiunge un accordo, quando ci si relaziona con banche o fondi non c’è storia che possa impietosirli”, sottolinea Cursano. Ferdinando Parisella fa solo una specifica: “Banche e fondi nemmeno ci guardano. Rischiamo di trovarci a condurre una guerra orizzontale, scenario assolutamente da evitare. Anche per questo è imprescindibile l’intervento dello Stato sulla questione”. Annuisce Roberta Pepi. E poi puntualizza: “È ora di fare dei distinguo, anche sotto questo profilo. Per cominciare, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe analizzare chi guadagna sugli affitti e chi invece ci vive. Quindi, individuati i soggetti che non sarebbero compromessi a livello economico, chiedere loro lo sforzo di rinunciare per un determinato periodo a parte del guadagno per agevolare la ripresa delle attività”.
Ma in attesa che -si spera- il Governo intervenga sulla questione, che fare? “Ai colleghi consiglio prima di tutto di non perdere tempo e di cercare di trovare una soluzione con il locutore. La liquidità ci serve adesso, non tra dodici mesi. Altrimenti, ci troveremo tutti strozzati a breve”, risponde Roberta Pepi.
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