pubblici esercizi

06 Agosto 2013

Le sorti dei pubblici esercizi in epoca di crisi


Le sorti dei pubblici esercizi in epoca di crisi

È tempo che alle iniziative commerciali e ai pubblici esercizi si riconosca il ruolo di connettivo sociale nelle città, di presidio di sicurezza. È necessario innescare un sistema di ascolto e di relazione con residenti, associazioni, pubblica amministrazione

L’evoluzione della situazione è più rapida di quanto gli organi preposti all’amministrazione delle città, il governo nazionale e le associazioni stesse riescono a percepire: gli esercizi commerciali e i pubblici esercizi stanno chiudendo ad un ritmo elevatissimo, per colpa di una crisi che colpisce tutti i consumi delle famiglie, anche quelli considerati essenziali. La mappa delle città sta rapidamente mutando: le vetrine chiuse si moltiplicano, talvolta sostituite da iniziative commerciali di dubbia consistenza, all’insegna del “proviamoci”, mentre molti esercenti si trasferiscono verso il dettaglio di ambulantato.

La fragilità di concept, acuita dall’indisponibilità di spesa delle famiglie, porta alla chiusura di esercizi fantasiosi (la michetteria, la spitzeria e casi analoghi) così come inizia a faticare anche il commercio cinese tanto conveniente e comodo.

La diminuzione di esercizi di ristorazione modifica profondamente la frequentazione degli spazi urbani: bar e ristoranti rendono la città viva a tutte le ore e costituiscono un presidio di sicurezza e controllo di territorio per tutti, sono una porta sempre aperta e una luce accesa, un patrimonio di conoscenze personali e un luogo di incontro istituzionalizzato. Se mai il commercio avesse bisogno di riconoscimenti per i benefici che induce non solo economici, ma anche sociali, questo momento storico gli renderà giustizia (con il senno di poi ahimè): la tutela del dettaglio tradizionale, di quartiere, sarà necessariamente una battaglia condivisa per il futuro. Ma per l’oggi non è sufficiente, in particolare non aiuta gli esercenti che faticano a far quadrare i conti e ad individuare strategie di sopravvivenza.

Creare valore

Il “fare sistema” è una strada da considerare: vuol dire agire in accordo con le forze che possono creare valore e sinergia con il commercio:

• le associazioni di quartiere – per eventi a tema, manifestazioni, feste di piazza. Una tendenza indubbia oggi, è di un rinnovato interesse delle persone verso le piccole comunità, verso gli eventi più o meno spontanei ma sicuramente ad indirizzo “artigianale”. Se fino a qualche anno fa, la gita domenicale era quella verso un outlet o un centro commerciale, oggi si preferisce la sagra della primavera o la festa di strada (meno costosa, più vera). Queste occasioni possono aiutare sia il flusso di potenziali clienti, sia occasioni di vendita, ossigeno in questi tempi bui.

• Le associazioni dei residenti. Occorre superare la dicotomia tra chi si lamenta del disturbo dovuto all’animazione dei clienti dei locali e di chi talvolta si dibatte tra le pieghe della legalità: il punto di interesse comune è quello del presidio e del controllo del territorio, dell’indirizzo verso una vita anche notturna “pulita”, occorre trovare delle convergenze comuni e avviare un nuovo tipo di dialogo.

Parlare, confrontarsi, agire per mantenere alto il valore del luogo tramite la giusta frequentazione di clientela, dare servizio di prossimità (il basso costo non è sufficiente, per quello ci sono già i discount e i concorrenti meno accorti: si tratta al contrario di produrre valore e utilità distintiva).

• La pubblica amministrazione. Sia per i grandi centri che per i piccoli comuni, nelle discussioni l’attenzione verso l’imposizione tributaria e le normative locali si deve affiancare all’elaborazione di un progetto condiviso di visione della vita urbana di domani.

Certo, è difficile cambiare il tono e i contenuti di una relazione ormai consolidati da tempo (spesso rigidi, conflittuali), e indubbiamente la pubblica amministrazione deve adottare un nuovo stile e sensibilità nella gestione delle problematiche del commercio, ma anche gli esercenti – come singoli o in forma associativa – devono assumere un nuovo e più alto livello di coscienza, dell’utilità del loro ruolo, sempre di più come categoria e non come singoli.

TAG: ECONOMIA,CAFFè DIEMME,CONSUMI

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