pubblici esercizi

20 Settembre 2013

Addiopizzo, contro il racket

di Carmela Ignaccolo


Addiopizzo, contro il racket

«La presenza mafiosa nell’economia siciliana è ancora forte. Il pizzo imposto ai commercianti, oltre a rappresentare la negazione di libertà importanti, come quella di impresa, è anche un pesante macigno che incide sulla possibilità dello sviluppo dell’economia isolana, distorcendone le regole del mercato e della libera concorrenza».

Un’accusa precisa e circostanziata che il Comitato Addiopizzo scaglia, ma senza ritirare la mano. Perché sa bene di cosa parla. E non ha paura di lottare. Il suo obiettivo, infatti, è quello di «restituire normalità alla sua terra, facendo in modo che chi resiste alle pressioni mafiose e clientelari possa proseguire il proprio lavoro senza ripercussioni sulla propria incolumità e sull’attività economica che esercita».

E fu proprio con questo spirito che, nell’ormai lontano 2004, prese il via una coraggiosa mobilitazione di comuni cittadini che scelsero una partecipazione attiva e dal basso. La notte tra il 28 e il 29 giugno di quell’anno, infatti, per le strade del centro di Palermo comparvero centinaia di piccoli adesivi listati a lutto, che “gridarono” per la prima volta quello il proprio slogan provocatorio: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.

Fu quell’azione clandestina di “comunicazione a bassa intensità”, a sancire la nascita di Addiopizzo, che da allora cerca di farsi portatore di una “rivoluzione culturale” contro la mafia.

Quali i risultati raggiunti da Addiopizzo?

Quando Addiopizzo nel 2004 ha iniziato il suo lavoro - ci racconta Giuseppe di Trapani, membro dell’associazione - per la Procura di Palermo l’80% dei commercianti della città pagava il pizzo, le vittime dei ricatti mafiosi in Sicilia erano diverse decine di migliaia e con estorsioni di ogni genere, le mafie guadagnavano parecchi miliardi di euro l’anno (fonte: Eurispes).

Oggi l’organizzazione mafiosa continua ad esercitare il suo potere, ma versa anche in uno stato di disarticolazione e di difficoltà, specie a Palermo.

Sono oramai tanti, anche se ancora oggi rappresentano un’avanguardia, i commercianti e gli imprenditori che hanno maturato il coraggio e la forza di liberarsi dal fenomeno delle estorsioni. C’è in generale una più forte sensibilità e attenzione rispetto a tali fenomeni. È ovvio che tale risultato va ascritto soprattutto al lavoro straordinario delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, ma anche - ed è questa la novità degli ultimi anni - a un rinnovato, almeno in parte, contesto sociale.

Dal 2006, il circuito di operatori economici che dichiarano pubblicamente di opporsi al racket continua a crescere costantemente. Oggi si contano più di 800 imprenditori e commercianti, che hanno trovato il coraggio di “metterci la faccia”, aderendo alla campagna antiracket “Pago chi non paga”. Oggi ancora l’iniziativa riguarda soprattutto Palermo e provincia, ma la volontà è che si propaghi presto grazie alle altre associazioni antiracket su tutto il territorio del Mezzogiorno). In questi anni, l’Associazione Addiopizzo, insieme a Libero Futuro (l’associazione Antiracket intitolata all’imprenditore Libero Grassi), ha assistito oltre 200 imprenditori che hanno subito intimidazioni e richieste estorsive e che hanno collaborato e denunciato, in sicurezza e senza eccessive esposizioni personali.

Quali gli ostacoli più complessi che avete dovuto superare?

Scardinare la mentalità di chi è rassegnato all’idea che nulla possa cambiare. Non a caso la maggior parte degli operatori economici che hanno denunciato e che si sono avvalsi del nostro ausilio appartengono a generazioni di giovani, più propensi, culturalmente a prendere posizione contro le estorsioni.

E le istituzioni quale appoggio danno agli esercenti?

Lo Stato, soprattutto attraverso alcune sue articolazioni come l’apparato repressivo, è presente ed è necessario ribadirlo e gridarlo con forza laddove spesso, invece, si sente sostenere pretestuosamente il contrario. Il nostro Paese ha per le vittime di estorsione e usura una legislazione che al di là delle lungaggini dei rispettivi procedimenti, ci invidiano in tanti Stati.

Quando si parla di Stato però è inevitabile che si faccia riferimento anche alla politica e il problema enorme è proprio che dalla politica spesso non sono arrivati e continuano a non arrivare quei modelli di comportamento esemplari, che potrebbero convincere commercianti e imprenditori a rompere il muro dell’omertà e a denunciare. Da ciò bisognerebbe ripartire.

Come aderire alla campagna “Pago chi non paga“

  • L’operatore economico interessato ad aderire alla campagna di consumo critico antiracket “Pago chi non paga”, viene convocato dall’associazione per un primo incontro-audizione, nel corso del quale espone storia aziendale e caratteristiche della propria attività economica.
  • Successivamente, Addiopizzo procede a vagliare la consistenza di quanto raccontato e provvede a ricercare autonomamente altri elementi relativi all’attività dell’interessato, consultando eventuali atti giudiziari pubblici, organi di informazione, associazioni di categoria.
  • Conclusa l’istruttoria, Addiopizzo ne darà comunicazione all’interessato, consegnando in caso di riscontro positivo, la vetrofania che tutte le imprese aderenti alla rete affiggono sulla vetrina del punto vendita per rendersi riconoscibili agli occhi dei cittadini.
  • L’associazione richiede comunque all’esercente la sottoscrizione di una dichiarazione formale con la quale si impegna a non pagare il pizzo ad eventualmente denunciare ogni forma, diretta o indiretta, di estorsione e a rispettare la legalità nell’esercizio della propria attività economica.

Tali condizioni sono necessarie per l’inserimento e la permanenza nella lista degli operatori economici “Pago chi non paga”.

TAG: CAFFè DIEMME,RACKET

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