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13 Febbraio 2017Un nuovo soggetto si staglia all’orizzonte della ristorazione italiana: è lo chef (stellato, nome noto, giovane in ascesa) che prende la guida di un ristorante all’interno di una struttura, al mare, ai monti o più spesso in città. Non è una novità assoluta, certo: esempi “storici” ed eccellenti ne abbiamo, però ora una formula ben più diffusa all’estero si sta affermando anche da noi. Ma come si è passati dal consommé al risotto al pino mugo, dallo standard senza fronzoli alla creatività? E soprattutto, quali sono le condizioni perché il “matrimonio”, ovvero la partnership chef/proprietà funzioni? Vediamo.
[caption id="attachment_116877" align="alignleft" width="300"] MAGDA ANTONIOLI, PROFESSORE ASSOCIATO DI ECONOMIA E COORDINATRICE DEL MASTER IN ECONOMIA DEL TURISMO PRESSO L’UNIVERSITÀ BOCCONI[/caption]
DA CENTRO DI COSTO A CENTRO DI RICAVO
Fino a poco tempo fa il ristorante per la maggior parte degli alberghi era un centro di costo, indispensabile per offrire un servizio a 4 o 5 stelle alla clientela che trovava la cucina aperta anche oltre gli orari canonici. Aveva certe caratteristiche di disponibilità, ma veniva utilizzato dai clienti dell’albergo come ultima risorsa, d’emergenza. “Quando poi gli alberghi hanno iniziato ad entrare in un’ottica di revenue management le cose sono cambiate, si è deciso di investire sul food & beverage che da costo doveva diventare fonte di reddito, o addirittura leva per attirare clientela esterna. Questo vale per il ristorante, ma anche per il bar, che apre all’esterno con gli happy hour, e per la banchettistica” spiega Magda Antonioli, professore associato di Economia e Coordinatrice del Master in Economia del Turismo presso l’Università Bocconi. Si è anche lavorato sul menù engineering proponendo formule “light”, come la colazione di lavoro a prezzo fisso, l’happy hour o il brunch domenicale. Sempre con lo stesso obiettivo: fare concorrenza a forme di ristorazione “esterna” all’albergo e attirare clienti da fuori. Lo chef può essere l’elemento che unisce e corona tutto ciò in un’ottica di richiamo e visibilità. Non solo per il ristorante, ma anche per altri servizi dell’hotel che si aprono all’esterno, come le spa e i centri benessere. “L’altra strada che si sta prendendo è quella di assu mere giovani talentuosi che lavorino con prodotti del territorio, per abbassare i costi della materia prima proponendo piatti più semplici, che saltano quella ‘liturgia tecnica’ tipica dell’alta cucina, estremamente costosa” spiega l’esperta. In un’epoca di chef prime donne, aperture seriali e proliferazione di allievi di grandi maestri, non si rischia l’inflazione? Antonioli ritiene che “per le caratteristiche del turismo italiano, siamo ancora molto lontani da una crescita eccessiva. Ci sono ancora grandi potenzialità, a patto che l’offerta sia di qualità. Il che non sempre avviene. Insomma, non mi preoccupano le nuove aperture di ristoranti di livello negli alberghi, ma piuttosto le pizzerie anonime in centro a Firenze”.
[caption id="attachment_116878" align="alignright" width="169"] HEINZ BECK, DA 22 ANNI ALLA GUIDA DE LA PERGOLA PRESSO L’HOTEL CAVALIERI DI ROMA[/caption]
HEINZ BECK: LAVORARE PER UN PROGETTO COMUNE
Da 22 anni è alla guida de La Pergola presso l’hotel Cavalieri di Roma. Arrivato giovane cuoco dalla Germania in un paese e una città sconosciute, Heinz Beck ha accettato la sfida di aprire un ristorante nuovo “ingenuamente, come si fa da giovani”, ed è cresciuto fino ad arrivare al massimo dei riconoscimenti, le tre stelle Michelin. “Era un’idea, è diventato un grande amore”. Uno stellato nella ristorazione alberghiera allora era un’eccezione, oggi non lo è più. Non si poteva dunque non interpellarlo per chiedergli il segreto di un matrimonio di cotanto successo. “Certamente l’alleanza tra chef e proprietà alberghiera non funziona sempre, come non funzionano sempre i matrimoni: si tratta di persone che devono condividere un progetto da portare avanti in modo intelligente. E alla prima difficoltà, invece che andarsene ci si siede a un tavolo e si discute come persone adulte”. Per questo non esiste una ricetta unica, le formule sono tante e variano, “proprio come nella ristorazione in generale ci sono tante idee che possono portare a risultati soddisfacenti”. Un requisito però c’è: “il ristorante in albergo deve portare redditività: e se la qualità è giusta, il progetto funziona, e ci sono i presupposti per un lungo matrimonio”. Come il suo, lunghissimo e felice: non ha mai avuto voglia di aprire un ristorante tutto suo? “In realtà no, anche se con mia moglie Teresa Maltese abbiamo una società di consulenza in hotel management e food industry nel settore lusso e seguiamo progetti in tutto il mondo, da Tokyo a Dubai”.
[caption id="attachment_116879" align="alignleft" width="300"] NORBERT NIEDERKOFLER, CHEF DEL ST. HUBERTUS, CON LA SUA BRIGATA DI CUCINA[/caption]
NIEDERKOFLER: SUL PEZZO DA MATTINA A SERA
Un file rouge dalla prima colazione fino a sera, un full time impegnativo che obbliga ad essere sempre sul pezzo, la gestione di una brigata completa ma anche di una seconda scelta che dia un’opzione più “light” alla clientela dell’albergo che non può o vuole sempre mangiare all’altezza da stellato. Trapelano l’onore e la specificità della ristorazione alberghiera dalle parole di un altro “veterano”, Norbert Niederkofler del St. Hubertus, risotrante dell’hotel Rosa Alpina di San Cassiano in Alto Adige dove è approdato 20 anni fa “perché volevano diventare un Relais&Chateaux, ma avevano bisogno di una cucina”. Cucina baciata oggi dalle due stelle Michelin. La ricetta del successo? E’ la costanza, solo così il cliente torna. E si aspetta di trovare alcuni piatti clou come il risotto al pino mugo. Per questo bisogna essere attenti a bilanciare il menu, tra novità e tradizione”. E poi, bando ai menu degustazione, “bisogna essere mlto flessibili, non s possono proporre al cliente dell’hotel otto portate. I clienti interni danno garanzia e la sicurezza di riempire il ristorante senza dover dipendere dalle prenotazioni esterne, per definizione altalenanti”. Sono dunque un “patrimonio” da conservare. Una grande attenzione va anche posta alla gestione delle prenotazioni, calibrando quelle dei clienti dell’albergo con le richieste esterne, specie in una struttura che si trova in una località di villeggiatura, dove le opportunità di ristorazione esterna non sono certo quelle di una città.
PICCINI: UNO PER TUTTI…
[caption id="attachment_116880" align="alignright" width="254"] VALERIA PICCINI[/caption]
Altro chef, altra formula. Valeria Piccini parla ai due mondi perché di ristoranti ne guida due: uno tutto suo, Da Caino a Montemerano (GR) due stelle Michelin, e una consulenza partita nel 2013 al Winter Garden by Caino del St. Regis di Firenze, una stella. A lei abbiamo dunque chiesto di spiegarci affinità e divergenze tra le due formule. “Al St Regis abbiamo creato un ristorante gourmet che deve avere grande attenzione nel soddisfare le richieste della clientela, con alcuni prodotti presenti tutto l’anno (a Montemerano seguiamo più una logica di stagione) e un menù completo per soddisfare i gusti di tutti”. Il lavoro è organizzato in tutt’altro modo: due turni, mattina e sera, contro una cucina sempre aperta con l’inevitabile turnazione. La consulenza riguarda il menù stagionale, approvato con il management, testato in cucina e gestito sul posto da un executive chef. Perchè funzioni cosa ci vuole? “Collaborazione, prima di tutto con i ragazzi che lavorano in cucina con i quali è necessario instaurare un buon rapporto. Vietato trattarli come meri esecutori, sono anche loro dei creativi, devono sentire i piatti che cucinano anche un po’ loro. Se li obbligo a fare solo quello che voglio io, quando non ci sono faranno a modo loro. Meglio condividere prima eventuali suggestioni”. Un matrimonio d’interesse insomma, quello tra chef e alberghi, che si sta diffondendo anche da noi. Perché, quando funziona, aumenta la redditività e la gestione della struttura. E, con le potenzialità del turismo nel nostro Paese, così ricco di tesori d’arte e bellezze naturali, ma non sempre primo per qualità nella ricezione, sembra proprio che ci sia spazio per tutti. Il Made in Italy ormai nel food è un marchio stabilito, anche se assai contraffatto. Dunque, celebrity chef, stellati e giovani talentuosi avanti tutta, un nuovo mondo (e, come abbiamo visto, un nuovo modo di concepire il food & beverage) vi aspetta.
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