bevande
17 Ottobre 2013In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, celebrata ieri, l’attenzione si è concentrata sullo spreco alimentare, una caratteristica della società occidentale in una contrapposizione tra eccesso di cibo e stili di consumo dannosi per la salute (l’obesità è una delle piaghe della società americana che si sta diffondendo anche in Italia, frutto di uno stile di vita sedentario e di una cattiva alimentazione). Ma vi sono risvolti negativi anche per l’ambiente e impatti di tipo etico e sociale.
Secondo un rapporto della FAO del 2011 ogni anno nel mondo si buttano via 1,3 miliardi di tonnellate di avanzi, pari a un terzo di tutto il cibo prodotto: quattro volte quanto servirebbe a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame. Tradotte in denaro le perdite ammontano a quasi 680 miliardi di dollari nei paesi industrializzati e a circa 310 miliardi di dollari per quelli in via di sviluppo.
Il peso ambientale di quello che sprechiamo dipende sia da quanto sprechiamo, sia da che cosa sprechiamo, perché ogni alimento ha una propria impronta ambientale che dipende dalla sua filiera di produzione: lo spreco di 1 kg di carne "costa" all’ambiente 10 volte la quantità di gas serra e di azoto richiesti da 1 kg di pasta. Lo spreco di 1 kg di manzo utilizza invano 594 litri di acqua blu a fronte dei 15 litri per lo stesso quantitativo di pasta.
In Italia ogni anno nelle case, nei supermercati e nei ristoranti e lungo la catena di approvvigionamento alimentare viene sprecato fino al 50% di cibo commestibile. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano, le eccedenze alimentari sono 6 milioni di tonnellate, pari ad un valore di 12,3 miliardi di Euro, generate per oltre il 55% dalla filiera agroalimentare e il resto nell’ambito del consumo domestico. Di queste, quasi il 50% è recuperabile per l’alimentazione umana ma ad oggi solo il 6% viene recuperato a fini solidali.
Già oggi sono attive iniziative di raccolta di avanzi come Last Minute Market che opera con catene distributive e imprese di ristorazione collettiva. È stato calcolato che, se tutti i pubblici esercizi (350 mila in Italia) donassero a fine giornata il cibo invenduto, con una media di 22 pasti invenduti al giorno, si potrebbero donare oltre 7 milioni di pasti al dì.
E proprio nella ristorazione si sta diffondendo la consapevolezza del non-spreco e nascono iniziative che organizzano e agevolano la raccolta di questi avanzi. Ne è un esempio la recente iniziativa di Ikea Food in collaborazione con il WWF non solo con la creazione di una vaschetta per portare a casa gli avanzi del pasto, ma anche con una attenta analisi della ricettazione dei pasti serviti per ridurre lungo la catena di produzione lo spreco di cibo. Leggi l'articolo.
Ci sono poi iniziative più strutturate e diffuse sul territorio, come il progetto Bring The Food della Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento e dedicato alle tecnologie informatiche per evitare lo spreco di cibo.
Si tratta di un’applicazione utilizzabile su computer e smartphone connessi ad Internet e permette a gestori di ristoranti, servizi di catering e supermercati di segnalare le eccedenze di cibo e, allo stesso tempo, alle organizzazioni umanitarie di richiederle in tempo reale. L’applicazione è stata sviluppata dai ricercatori dell’Unità ICT4G (ICT for Good), appartenente al Centro Communication and Information Technology della FBK.
Altra iniziativa che si occupa della donazione di pasti è Pasto Buono curato da Qui Foundation, attivo dal 2007 che nel 2013 arriverà a donare 100 mila pasti. Il progetto, già pratica quotidiana a Genova e Roma, sarà avviato entro novembre a Torino e Bari, ha ottenuto il patrocinio del comune di Palermo e arriverà presto anche a Milano e Firenze. Ogni giorno i volontari delle Onlus con cui collabora Pasto Buono a Genova e Roma ritirano il cibo sano e invenduto per distribuirlo alle mense dei bisognosi facendo sì che gli sprechi siano trasformati in risorse a favore di molti.
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