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22 Aprile 2020LEGGI MIXER SPECIALE EMERGENZA COVID
La ristorazione è un comparto decisivo della filiera agroalimentare non soltanto per il contributo fornito alla creazione di valore ma anche per essere un mercato di sbocco rilevante per le produzioni agroalimentari nazionali. L’impatto del coronavirus non si è limitato a un calo dei ricavi e dei margini di profitto delle imprese, ma ad effetti negativi sulla struttura finanziaria. Quello che preoccupa infatti sono le macerie economiche che il virus lascerà una volta debellato.
Il momento è difficile, la situazione è in continua evoluzione e non sempre appaiono chiare le scelte del Governo, che restano motivo in più di preoccupazione per le imprese e non solo. Secondo il monitoraggio svolto dal centro studi Fipe le prime tre priorità che le imprese si trovano oggi a fronteggiare sono il pagamento degli stipendi dei dipendenti, basti pensare che il 30% delle aziende intervistate dichiara che alla riapertura non potrà tenere tutto il personale attualmente in forza e il 42% è incerto sul da farsi, il pagamento dei contributi e quello dei fornitori. Aspetto anche quest’ultimo da non sottovalutare perché non riguarda solo il breve termine, ma anche il lungo termine. Quando finalmente le imprese potranno tornare ad operare, se non avranno liquidità finanziaria disponibile per pagare i fornitori, come faranno a riassortire il proprio esercizio?
Ad oggi le prime misure del Governo a cui ricorreranno le imprese, e qualcuna lo ha già fatto dove possibile, sono: la cassa integrazione in deroga (30,6%), la sospensione di prestiti e mutui (25,0%), la cassa integrazione/FIS (20,3%) e la sospensione del pagamento dei tributi (18,7%). Tuttavia il 96% delle imprese ritiene insufficienti i sostegni previsti dal Governo. In particolare avrebbero bisogno di disporre di liquidità immediata per coprire i mancati incassi, o poter accedere al credito con interessi zero o quantomeno agevolati, o che fossero annullati completamente il pagamento di tasse e contributi.
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Il 60% delle attività si svolge in locali in affitto e il 56% sta già avendo problemi nel pagamento del canone di locazione, e per tale motivo è avvertito come una grande emergenza. Su questo fronte l’iniziativa della Fipe è quella di alzare il credito di imposta dal 60% al 100% e di allungarne gli effetti oggi limitati al solo mese di marzo. Nel frattempo il 23% le aziende ha interloquito con la proprietà per ottenere la sospensione e la rinegoziazione dei canoni.
Ad oggi l’85,5% delle imprese intervistate è completamente chiuso e il restante 14,5% sta cercando di reinventarsi mediante la consegna di cibo a domicilio (delivery), di questi il 6,3% si sta attivando per la Pasqua. La maggioranza (80%) svolge il servizio di consegna in proprio, avvalendosi magari di dipendenti non in forza in questo momento e risparmiando i costi aggiuntivi di una piattaforma a cui appoggiarsi. Il servizio sta funzionando poco o per nulla per l’80%, ma per molti che si stanno cimentando, l’obiettivo non è principalmente economico ma quello di mantenere vivo il rapporto con il cliente e con il personale.
Le imprese sono ben consapevoli che il delivery non è un’attività che si costruisce dall’oggi al domani, perché occorre studiare l’offerta, il livello dei prezzi e gli strumenti di comunicazione. Sempre nell’ottica di sostegno alle imprese la Fipe ha sviluppato, con il supporto della startup pOsti, Ristoacasa.net, una vetrina digitale già attiva e a disposizione di tutti gli esercizi (ristoranti, bar, gelaterie, pasticcerie) che vorranno usufruirne per fornire agli utenti le informazioni necessarie alla richiesta del servizio di consegna a domicilio. Questo strumento consente di individuare tutti i locali che fanno delivery, soprattutto quelli che decidono di gestirlo con i propri mezzi, circoscrivendo l’area di ricerca dei ristoranti ad una distanza definita dalla propria abitazione.
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