bevande
05 Maggio 2014Nonostante il periodo difficile, il primo anno di vita dell’enoteca di vendita e di mescita El Büscia si chiude con un bilancio più che positivo. Mixer Planet ha incontrato il proprietario, Massimiliano Balestreri, per scoprire come replicare con successo il format
Aperta a Milano nel maggio 2013 e specializzata nel mondo delle bollicine, El Büscia (in milanese, che fa le bolle, che frizza) vanta oltre 530 etichette diverse. «Abbiamo l’assortimento più ampio in Italia», chiosa il patron, Massimiliano Balestreri.
Come è nata l’enoteca El Büscia?
«Da sempre appassionato di vino, ho lavorato per anni nel settore marketing per aziende multinazionali. E ho appreso che la prima regola, per emergere, è offrire qualcosa di nuovo e di differenziante. Così, quando ho deciso di cambiare professione, ho pensato di realizzare un format inedito: un’enoteca di vendita e di mescita specializzata nel mondo delle bollicine».
Perché ti sei orientato sulle bollicine?
«Perché, oltre ad essere una grande passione, si sposano bene con il momento dell’aperitivo, sul quale volevo concentrarmi. Detto questo, per venire incontro a un pubblico il più ampio possibile, propongo anche qualche calice di vino fermo, bianco e rosso, nonché una limitata selezione di bottiglie».
Funziona meglio l’attività di mescita o di vendita?
«Per ora, la vendita registra una curva di crescita più lenta. La proporzione è approssimativamente tre quarti di mescita e un quarto di vendita. Da fine febbraio, però, ho lanciato anche il sito di e-commerce: non mi aspetto risultati immediati, sia chiaro, ma nel tempo fornirà un ulteriore elemento di traino per le vendite. Nei prossimi mesi mi dedicherò alla sua promozione: oltre a sviluppare la campagna su Google, ho intenzione di sfruttare tutti gli strumenti presenti sul web per farmi conoscere al mio target di riferimento: un pubblico di appassionati con una cultura del vino medio alta, interessati ai piccoli produttori italiani ed esteri».
Qual è la tua strategia per stimolare la mescita a pranzo e all’aperitivo?
«Non punto sul pranzo: ecco perché non ho inserito una proposta di insalatone e affini. Non voglio snaturare l’identità del locale per richiamare i lavoratori in pausa: mio obiettivo è avvicinare, piuttosto, quella clientela che desidera un pranzo a base di salumi e formaggi particolari con un bicchiere di bollicine. La mia attenzione si concentra sull’aperitivo, che rappresenta il momento massimo di attività del locale: propongo una decina di etichette al calice a rotazione giornaliera, tra i 5 e i 10-12 euro, e circa 200 bottiglie fredde, senza ricarichi rispetto all’asporto».
Come hai selezionato le cantine?
«Prima ancora di aprire l’enoteca avevo già preso quasi tutti i contatti: nel corso dei miei numerosi viaggi enogastronomici ho selezionato la maggior parte dei produttori e mi sono costruito un database delle eccellenze degustate in giro per il mondo. Qualche produttore, poi, l’ho conosciuto in occasione di fiere specializzate, in particolare al Vinitaly, principale manifestazione di riferimento del settore vinicolo. E oggi che il magazzino è ricco e il tempo per viaggiare poco, valuto soprattutto le proposte che mi arrivano direttamente dai produttori. Obiettivo è sempre differenziarmi dalla massa. Le etichette proposte non sono quindi in vendita nella grande distribuzione: provengono da medi e piccoli produttori. Tra le new entry, per esempio, ho scelto gli champagne di Christophe Mignon, cinque diversi Pinot Meunier in purezza, di cui due rosé, con dosaggi bassi o nulli, prodotti con il metodo dell’agricoltura biodinamica».
Quanto conta l’offerta food per trainare la mescita?
«La mia strategia è separare nettamente food e vino, al fine di poter vendere al prezzo inferiore calici e bottiglie. Bandito l’aperitivo con buffet, a partire dalle 18 insieme al calice serviamo un piattino di cortesia a base di salame. Chi desidera, poi, può ordinare alla carta selezioni di salumi e di formaggi o tartare di pesce, con prezzi che variano tra gli 8 e i 16 euro. Punto su prodotti di qualità, mai scontati, acquistati da piccole aziende: pancetta, coppa alle erbe, mortadella ossolana (Presidio Slow Food) e mocetta di agnello provengono dal Divin Porcello di Masera, i formaggi biologici, come la caciotta (bianca, alle noci e al peperoncino), la robiola e il Taleggio dal bio-caseificio Tomasoni e le croccanti friselline all’olio d’oliva, proposte con alici del Cantabrico e pomodorini secchi, dalla cooperativa sociale Puglia - Libera Terra (ovvero le terre liberate dalla Mafia). Non mancano classici come il culatello di Zibello DOP, il salame e la salsiccia di cinghiale, lo jamòn iberico de Bellota, nonché una piccola scelta di tartare di pesce, come quella al salmone selvaggio, acquistati in packaging ad atmosfera protettiva».
El Büscia, secondo te, è un format replicabile in Italia?
«Sì, ma non ovunque: l’offerta specializzata segmenta il pubblico. Senza contare che il mondo del vino italiano è abbastanza campanilista: è più difficile, per esempio, vendere un Franciacorta o uno Champagne in Veneto dove sono molto legati al Prosecco. Credo che un’enoteca specializzata in bollicine abbia più possibilità di successo nelle città a forte densità di popolazione, magari con propensione per il turismo, come Roma, Firenze, Venezia e Torino».
E cosa suggeriresti ai colleghi che volessero seguire le tue orme?
«Di non aprire un’enoteca specializzata senza una seria competenza e una sincera passione».
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