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27 Giugno 2013Il settore dell’olio d’oliva è vario e capillare dove poco di quello che luccica è oro.
Sul mercato ci sono diverse tipologie che si presentano con colori e forme diversificate, ma soprattutto con prezzi moltio differenti.
Allora, come scegliere un prodotto piuttosto che un altro considerando che tutti, in etichetta, riportano la stessa scritta “olio extra vergine d’oliva”? Esiste realmente una differenza tra gli oli in vendita?
Proprietà dell’olio d’oliva
L’olio d’oliva è, com’è noto, tratto dalla spremitura delle olive. A seconda delle olive in questione, della zona, delle proprietà del terreno, le componenti possono variare leggermente, così come varia il gusto.
Ogni regione italiana ha la sua tradizione in materia: se il toscano è definito spesso come il più pregiato, le sue caratteristiche sono fondamentalmente un retrogusto più fruttato e un sapore più leggero, gli oli meridionali tendono ad avere sapori più forti. L’olio spesso non è neanche 100% italiano, malgrado siamo i secondi produttori in Europa, ma primi per importazione.
In realtà, vi sono altri fattori che possono intervenire alterando qualsiasi notazione regionalistica. Ad esempio le olive devono essere spremute entro 48 ore, pena una forte alterazione delle proprietà organolettiche. Le olive raccolte da terra (come accade in Grecia) abbassano di molto la qualità, così come in generale le olive ormai nere sono meno buone di quelle mature ma ancora verdi. Specie di ulivi ad alto rendimento spesso offrono una qualità minore e anche una non corretta pulizia delle olive (con qualche ramo che magari finisce nella macine) può condizionare più di quanto non si pensi la qualità del tutto.
A conti fatti, è difficile che un extravergine sotto i 10 o 12 euro a bottiglia possa essere davvero ottimo (mentre è possibile che sia “buono”). E questo a prescindere, come detto, dalla mera provenienza.
Perché extravergine?
Intendiamoci, l’olio d’oliva mantiene molte delle sue proprietà salutari anche nelle peggiori varianti “chimiche”, come l’olio di sansa d’oliva (che può essere utilizzato come alternativa all’olio di semi come grasso da frittura economico) che possiede alla fine anch’esso una percentuale molto alta di grassi monoinsaturi.
Ma sappiamo tutti che le proprietà organolettiche di un extravergine di qualità sono superiori a quelle di qualsiasi altro olio.
Ma cosa è un olio extravergine? Si tratta dell’olio prodotto da una spremitura meccanica, senza uso di solventi chimici, e senza particolari passaggi intermedi o lunghi tempi di attesa. L’acidità raggiunge massimo l’1%. L’olio vergine d’oliva, invece, pur essendo sempre risultante da procedura meccanica, ha proprietà organolettiche inferiori, un’acidità al 2% e un certo deterioramento della vitamina E. Se invece c’è scritto olio d’oliva, per lo più si tratta di un miscuglio di olio di sansa alimentare e olio vergine.
Blend o monocultivar?
L’olio in cucina è determinante: a seconda della tipologia che si sceglie, può cambiare il gusto del piatto. In Italia esistono 395 cultivar: tra le varietà più note ci sono Leccino, Frantoio, Moraiolo, Ogliarola, Coratina, Nocellara del Belice, Nocellara Etnea, Gentile, Canino, Biancolilla e Carolea.
Per olio monocultivar si intende un olio prodotto da una sola tipologia di olive a differenza dell’olio tradizionale che viene prodotto miscelando tipologie diverse di olive (blend).
L’olio monocultivar rappresenta un punto di arrivo nella ricerca della purezza, qualità ed eccellenza.
In cottura meglio utilizzare il blend, che di solito è più neutro. Se si cucina per esempio frutti di mare, un monocultivar piccante può penalizzarne la naturale dolcezza.
Ci sono invece piatti che richiedono il monovarietale e a seconda delle esigenze non c’è che l’imbarazzo della scelta.
L’ideale è abbinare ricette di una certa area geografica con l’olio prodotto in quella regione; olio ligure per fare il pesto, olio toscano per i fagioli all’uccelletto e, per preparare una saporita peperonata, usare olio pugliese.
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