caffè
16 Settembre 2020Nel mezzo di una tempesta è difficile tracciare scenari per il futuro, figuriamoci tentare di capire cosa sarà della formazione nel caffè quando l’emergenza epidemiologica andrà smorzandosi e ci permetterà di tornare alla normalità o quasi. Trattare di un tema così astratto potrebbe apparire addirittura fuori luogo rispetto alla concretezza del dolore e dei danni provocati dalla Covid-19. Eppure, sebbene la ripartenza ha in prima battuta ben altre necessità, una ripresa duratura non può prescindere dal rafforzamento delle competenze dei singoli.
UNA VITA AD ALTO TASSO DIGITALE
L’Italia, paese che storicamente segna ritardi evidenti nella digitalizzazione, è stata spinta come non mai a ragionare invece secondo le logiche di quest’ultima. La permanenza forzata in casa ha evidenziato, forse per la prima volta, il ruolo che il digitale può giocare nelle nostre vite. Come è stato giustamente evidenziato, le epidemie del passato si caratterizzavano per una sostanziale carenza di informazione: chiuse nei propri villaggi assediati da peste o altro, le persone sapevano ben poco di quanto avveniva fuori. Noi abbiamo seguito invece questa pandemia in tempo pressoché reale, con aggiornamenti che sono principalmente passati on-line. Una larga quota della popolazione è rimasta tra l’altro connessa con parenti, amici, conoscenti grazie a servizi digitali, dai social media alle piattaforme di video call, passando per la più classica e-mail. Inoltre, buona parte dei lavoratori con mansioni prettamente intellettuali ha potuto continuare a svolgerle in smart working, un enorme esperimento sociale in un paese spesso abituato a lavorare secondo logiche di prossimità. In definitiva, per la prima volta molti hanno vissuto una vita ad alto tasso digitale e non pochi hanno finalmente compreso le potenzialità di mezzi che prima erano vissuti come accessori, se non addirittura relegati nell’ambito del tempo libero. Le modalità digitali sono infatti diventate quasi l’unica opportunità per evitare il completo isolamento sociale e per sentirsi ancora parte di una comunità.
DUE FASI ON-LINE
Nell’affermazione del digitale come definitiva parte integrante delle nostre vite, anche la formazione nel settore del food and beverage si è ricavata un proprio spazio. In carenza della possibilità di condurla nelle classiche modalità d’aula, non pochi formatori si sono affidati a una maggiore presenza on-line o l’hanno rafforzata qualora già attivi. È a ben vedere un fenomeno che ha conosciuto però due passaggi distinti, determinati nella loro temporalità e ben separati in base agli obiettivi dichiarati dagli stessi professionisti. All’inizio delle misure di contenimento c’è stato chi ha semplicemente iniziato a utilizzare il mezzo per condividere una parte della propria competenza: l’ha fatto quindi in modo gratuito qualificando i propri interventi digitali, webinar e quant’altro, come momenti di divulgazione con l’obiettivo di contribuire a mantenere la coesione della cosiddetta coffee community. È stata soprattutto un’operazione di conforto sociale, un modo per non perdersi di vista, nonché una via per garantire al proprio business una visibilità minima. Successivamente a questa prima ondata tutto sommato determinata da un’encomiabile resilienza, a mano a mano che si comprendeva che le misure di contenimento si sarebbero prolungate nel tempo, sono iniziate a comparire le prime attività esplicitamente dichiarate come formazione on-line. Si è passati quindi dalla proposizione di contenuti meramente divulgativi alla vera e propria vendita di corsi digitali (o in formula mista: una digitale nell’immediato, una parte in aula al termine dell’emergenza).
GUIDARE LA MANO DELL’ALLIEVO
Nella vendita si è ampiamente lasciato intendere che queste nuove formule avessero la stessa efficacia di quelle convenzionali, indipendentemente dal tema della formazione. Una supposizione a mio avviso erronea, che sottolinea il punto focale dell’intera questione: l’efficacia della formazione digitale nel nostro settore è inversamente proporzionale alla fisicità degli oggetti trattati. Più un tema necessita di una parte manuale, meno si presta a essere portato on-line. Per esempio, un corso per baristi è un’attività di formazione che richiede normalmente una strettissima alternanza tra la teoria e la pratica. Tipicamente un percorso dedicato al barista, soprattutto nell’approccio base, si basa su brevi momenti di spiegazione dei concetti a cui seguono immediatamente esercitazioni pratiche. Questo perché è necessario applicare la teoria appena spiegata con l’obiettivo di perfezionare i gesti tecnici e, attraverso un esercizio ripetuto e controllato dall’istruttore, costruire degli automatismi. Molta della formazione erogata a livello base, che deve avere un impatto pratico sulla quotidianità degli allievi, soffre di questo limite: il maestro deve letteralmente guidare la mano dell’allievo. Naturalmente, spostandosi a temi più avanzati, in cui le basi sono ormai acquisite, anche i contenuti si prestano maggiormente a essere trattati a distanza. In definitiva, da queste considerazioni è facile comprendere quanto sia rilevante non deludere le attese degli allievi proponendogli corsi su temi che non si prestano a essere portati sul digitale. Farlo significa creare una frustrazione tale da rischiare di vanificare l’attenzione che si è finalmente creata sulle attività on-line. Queste possono essere un formidabile mezzo di sviluppo delle competenze personali, una risorsa di cui il mondo del caffè italiano ha estremamente bisogno.
IL RUOLO DEI FORMATORI
In questo senso ritengo doveroso che ognuno di noi formatori si approcci al digitale con estrema attenzione: facendone un uso serio e adeguato ai contenuti, questo potrà definitivamente affermarsi come un ulteriore e prezioso canale di erogazione dei corsi. Al contrario, un uso acritico del mezzo lo farà percepire come una risposta temporanea a una situazione di emergenza, qualificandolo come un inefficace succedaneo alla formazione svolta in aula.
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A cura di Matteo Cioffi
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