16 Settembre 2020
In ambito di vitivinicoltura anche la Francia ha, inutile negarlo, diverse frecce al suo arco. Basterebbe, anche da solo, citare il caso di Chablis, un territorio dalle caratteristiche uniche che, attorno all’omonimo comune, riesce a sviluppare uno dei vitigni internazionali più diffusi come lo Chardonnay per capire che, come nel caso dell’Italia, la grandissima vocazione territoriale del paese d’Oltralpe è capace di rendere giustizia alla vite, regalando alcune delle letture più brillanti a livello mondiale. Parlando invece specificamente di viticoltura estrema, vi volevo raccontare della – ingiustificatamente, a mio avviso – relativamente poco nota Regione dello Jura, una piccola zona vitivinicola della Francia nord orientale, per l’esattezza l’area della Bourgogne-Franche-Comté. Si estende dal Comune di Salins-les-Bains (a nord) a quello di Saint-Amour (a sud), ricoprendo un’areale di circa 80 chilometri. Si tratta di una zona vitivinicola dalla tradizione consolidata, dato che già Plinio il Giovane – parlando del Savagnin – ne celebrava i fasti, raggiungendo poi il culmine a metà del 1800, durante la Corte di Francia, quando il vigneto giurassiano arrivò a sfiorare i 20.000 ettari vitati. Purtroppo successivamente prima la fillossera, poi le due guerre mondiali, hanno provocato un massivo abbandono delle campagne, fino ad arrivare agli attuali 2.000 ettari. Si tratta di una zona dotata di morfologia varia, caratterizzata da terreni marnoso/calcarei, simili alla vicina – e celebratissima – Borgogna, dove inverni lunghi e freddi, provocano una maturazione degli acini più lenta, con conseguente spostamento del periodo della vendemmia verso novembre. L’altra caratteristica è l’asperità del territorio, che alterna altopiani a pianure scoscese, obbligando a coltivare anche su pendenze superiori al 40%.
LO SCRIGNO DEI SEGRETI
Lo Chardonnay, ancora lui, è la varietà più rappresentata, arrivando a coprire il 50% della superficie, mentre gli altri uvaggi sono a bacca rossa, ovverosia il Poulsard o Ploussard, che occupa circa il 20% della superficie, il Pinot Noir, che ne rappresenta circa il 10%, e il Trousseau. Tornando ai bianchi, invece, proprio il Savagnin di cui sopra, uvaggio territoriale non dissimile dal Traminer aromatico – arrivato in Francia verosimilmente via Ungheria – nonostante copra appena 300 ettari vitati, è la base per uno dei vini più interessanti della Regione, ovverosia il celebrato Vin Jaune. Quest’ultimo si ottiene da uve Savagnin affinate esattamente per sei anni e tre mesi in barrique da 228 litri. Non viene effettuato nessun travaso o ricolmatura per riequilibrare l’evaporazione naturale, creando così un’intercapedine di aria che normalmente farebbe inacidire il vino ma, in questo caso, protetta da uno strato (chiamato voile) di lieviti filmogeni si attiva quel processo chiamato “ossidazione controllata”. Il risultato è un vino molto secco, dal colore giallo dorato con profumi di spezie orientali, zest di arancio e mandorle tostate. Terminato l’affinamento, il vino viene imbottigliato nelle tradizionali “clavelins”: bottiglie da 62 cl, esattamente la quantità ottenibile da 100 cl di mosto. La versione meno pregiata di questo vino è detta Vin Typés; in questo caso il voile non si forma correttamente, obbligando a un imbottigliamento anticipato. Altro prodotto caratteristico è il Macvin: la fermentazione del mosto viene bloccata tramite aggiunta di acquavite Marc du Jura, affinata per circa 24 mesi in botte. Il disciplinare prevede che alla produzione possano contribuire tutti i cinque uvaggi principali del Jura, tanto da ottenere Macvin du Juras sia bianchi che rossi. Un altro vino tipico del Jura è il Vin de Paille (Vino di Paglia), che può essere ottenuto dai vitigni Chardonnay, Savagnin, Poulsard e Trosseau (NON Pinot Nero) sotto le denominazioni Cotes du Jura, Arbois e l’Étoile, uno splendido prodotto da uve appassite per almeno sei settimane sui tradizionali letti di paglia (da cui il nome del vino). Al termine dell’appassimento, quindi, poco prima di Natale, viene effettuata la spremitura e la fermentazione, che sviluppa naturalmente tra i 14 e i 17 gradi alcolici lasciando mediamente 100 g/l di zucchero residuo. Il vino, successivamente, affinerà in piccole botti di legno per almeno tre anni prima di essere commercializzato. Credetemi, anche solo questo assaggio meriterebbe il prezzo del biglietto.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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