02 Gennaio 2021
Parola d’ordine: adattarsi ai nuovi tempi. In fase 1 abbiamo visto giornalai vendere fiori, macellai esporre vino e primizie, fabbriche tessili o di filtri per caffè produrre mascherine. E ora i ristoranti non ripartiranno come se nulla fosse accaduto. Gli attacchi al nostro stile di vita sono stati profondi e duraturi. E, se c’è chi vorrà tornare alla vita di prima senza cambiar nulla, una parte dei clienti – i più anziani, i più colpiti dal lutto, i più cauti o chi sta già soffrendo economicamente – non si presenterà all’entrata. Il cliente post Covid poi andrà rassicurato, coccolato e raggiunto tramite diversi canali. Soprattutto è necessario riflettere attentamente sul proprio modello di business ed adattarlo ai nuovi tempi. L’offerta andrà ri-direzionata o integrata. In che modo? Ecco come i ristoratori hanno affrontato il “new normal”, il business dopo il Covid-19.
CREATIVITÀ E RICICLO
In tutto il mondo la riapertura è avvenuta nel segno di regole sanitarie stringenti dettate dai relativi governi tra distanziamento dei tavoli, mascherine e dispositivi di sanificazione. Qualcuno ha pensato creativo, e si sono visti camerieri in maschere da saldatore e manichini seduti ai tavoli per marcare il distanziamento sociale. E c’è chi si è dato al riciclo, seppur d’artista: il ristorante del museo di Amsterdam Mediamatic dentro mini serre in plexiglas recuperate da una mostra, ha sistemato tavolini a due o tre posti per mangiare all’esterno ma isolati, con i camerieri che servono i piatti su lunghe pale di legno. “Il Covid-19 ha obbligato i ristoranti a ripensare l’ospitalità: per un po’ si eviteranno gruppi di persone, ma uscire e divertirsi insieme è una cosa di cui abbiamo estremamente bisogno in questo momento” ha detto il direttore Willem Velthoven.
SPAZI DENTRO E FUORI, PUBBLICI E PRIVATI
Il problema degli spazi è cruciale. Se alcuni ristoranti di alta gamma hanno a disposizione ampie sale e tavoli distanziati, in anni recenti si è puntato, specie in ambienti urbani, su spazi colorati e divertenti ma al limite dell’angusto. L’utilizzo di giardini e dehors va sapientemente sfruttato. Come ha fatto Marco Sacco al Piccolo Lago di Verbania, dove il giardino è stato trasformato in spazio pic-nic gourmet dove pranzare con uno dei “box” del ristorante o prendere una merenda o un aperitivo. “Noi ristoratori dobbiamo parlare a chi vive qui o a chi uscendo dalle città cerca luoghi dove respirare bellezza e serenità – dice Sacco - Vogliamo essere un punto di riferimento per l’intera stagione estiva per tutti coloro che desiderano passare una mezza giornata a piedi nudi sull’erba, fare un giro gastronomico a bordo della nostra barca elettrica, provare la nostra cucina in uno scenario incantevole”. In un dialogo costante con il vicinato perché quest’anno gli spostamenti tenderanno ad accorciarsi. Gli spazi a disposizione si possono ottimizzare destinandoli a cene private, accogliendo comitive in sicurezza in tutta o parte della struttura, ma l’esperienza della cucina può anche essere portata a casa del cliente. In un momento in cui l’intero settore dell’ospitalità soffre, ci si può anche alleare con una struttura di zona. Zoku, una sorta di AirBnB olandese di lusso, ha aperto i suoi 25 loft per un’esperienza firmata dallo chef olandese bistellato Joris Bijdendijk del ristorante Rijks, con vini scelti dal sommelier Max van Bockel e pernottamento, a 200 euro a persona. “Questa crisi ci ha portato molta creatività ed energia. È fantastico vedere che i nostri clienti vogliono ancora viziarsi con buon cibo, bevande e vacanze nel proprio Paese” ha detto Bijdendijk. Lo chef Giancarlo Perbellini nel nuovo pop up a Verona incrocia cocktail classici rivisitati con tre menù che cambiano ogni giorno, in collaborazione con Spaccio Spiriti Alimenti & Diversi, bar di Senigallia. Complice la stagione estiva, molti saranno spinti a utilizzare spazi – terrazze, parchi, tetti attrezzati, strade pedonali – dove ritrovarsi a consumare, all’aperto, in compagnia ma a distanza. E le autorità locali potrebbero dare una mano: il “modello Vilnius” si sta diffondendo anche da noi. Perché, come ha detto Daniel Bô, della società di ricerche francese QualiQuanti “l’esterno è il nuovo interno”.
MENU RIVISTO
Semplicità e varietà, salubrità e prezzi più contenuti: il menu del rientro va senz’altro ripensato. E a differenziare ci hanno pensato da subito i grandissimi aprendo bistrò pop up, senza paura di “sporcarsi le mani” abbassando il target. A partire da René Redzepi del NOMA di Copenaghen. Nel giardino del ristorante considerato tra i migliori al mondo ha aperto un wine bar con proposta food essenziale: due hamburger, classico e vegetariano. “Vieni come sei, non ci sono prenotazioni, siamo aperti a tutti. Puoi fermarti per un bicchiere di vino o puoi restare a mangiare” si legge sul sito del ristorante che da sempre ha liste d’attesa chilometriche. Stesso discorso Da Vittorio a Brusaporto (BG) che dopo due mesi in prima linea nell’ospedale da campo di Bergamo ha aggiunto al ristorante 3 stelle, per tutto il periodo estivo, un bistrò all’aperto, a bordo piscina, con menu incentrato su pizze gourmet in teglia e al vapore e carni alla brace. Si danno alla pizza anche quelli di Retrobottega, ristorante romano che punta su sostenibilità e materie prime di pregio. “Mantenere tutto inalterato e proseguire con l’offerta classica del ristorante ci è parso fuori tempo – spiega lo chef Alessandro Miocchi – oltre che poco sostenibile, sia per la natura complessa dei piatti di Retrobottega che richiedono tempo, energie, tecniche e un’elaborazione lunga e meticolosa, sia per la necessità di adeguare il locale alle nuove normative”. I prezzi vanno dai 10 ai 15 euro: la crisi economica post Covid-19 impone a tutti scelte che vengano incontro a un cliente in prevedibile difficoltà. Eugenio Boer, talentuoso e innovativo chef italo-olandese di base a Milano, ha virato verso un menu 100% italiano, realizzato interamente con prodotti nostrani, con l’obiettivo di omaggiare alcune delle grandi ricette della tradizione e dare un aiuto ai piccoli produttori”. Attenzione anche all’ottimizzazione delle forniture: si può fare cambiando il menu ogni giorno secondo disponibilità (come da 28 posti a Milano) o puntando su una tendenza già in atto da qualche tempo, quella del monoprodotto. Il più estremo? Ha appena aperto a Milano, si chiama Carne e propone esclusivamente piatti con lombatello di razza piemontese.
RESTANO TAKE AWAY E DELIVERY
Consegne a domicilio e asporto, i pilastri della fase 1, non andranno dismessi, anzi. Clienti abituati a usufruirne o ancora restii a tornare al ristorante, li richiedono ed è un modo per integrare un business tradizionale che soffre il taglio dei coperti. Andrà personalizzato con un biglietto, un whatsapp o un video (registrato o in diretta) con istruzioni o saluti, come vogliono i nuovi tempi, e organizzato con i dipendenti del ristorante, che rassicurano. Ci aspettiamo di vedere quindi sempre più dark kitchen, le cucine dedicate all’asporto: ne hanno in progetto una anche i fratelli Alajmo, 11 locali tra cui il tristellato Le Calandre. Obiettivo: prolungare il successo del delivery. Ingredienti at home.
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A cura di Matteo Cioffi
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