pubblici esercizi
24 Giugno 2011L'avvicinarsi della stagione estiva offre l’occasione per fare una riflessione sul “grande” tema dei controlli esercitati sulle imprese dai tanti organismi di controllo presenti nel nostro Paese. Sia che si tratti di sicurezza alimentare, di fisco o di lavoro, gli esami per le imprese non finiscono mai. In questo contesto trova fondamento l’esigenza di razionalizzare il sistema di controlli al fine di evitare ridondanze che hanno costi pesanti per le imprese, soprattutto se piccole. Il Rapporto di Lavoro è da sempre un nervo scoperto, in particolare delle cosiddette “labour intensive”.
Il “Rapporto annuale sull’attività di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale” diffuso recentemente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con riferimento all’anno 2010 ne è la riprova. L’attività ispettiva nel corso del 2010 ha assegnato rilevanza prioritaria al contrasto del lavoro sommerso in particolare nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia dove si rileva una maggiore concentrazione di tale fenomeno. Purtroppo, come vedremo appresso, anche Bar e Ristoranti sono usciti malconci dalle ispezioni.
Su oltre 262mila Aziende ispezionate ben 172mila (65,6%) sono risultate irregolari (Tab. 1). Il numero complessivo di lavoratori irregolari ammonta a 232.854 (in media circa uno per Azienda) e di questi 133.366 pari al 57,3% sono risultati totalmente in nero.
La sospensione dell’attività
Le infrazioni principali riguardano il mondo degli appalti, la somministrazione irregolare dovuta al crescente ricorso all’outsourcing, la tutela economica e fisica delle lavoratrici madri, l’orario di lavoro, i riposi e la sicurezza sul lavoro. Il Rapporto non dà conto delle irregolarità per settore di attività economica, né del numero complessivo degli occupati delle Aziende ispezionate e pertanto non consente di conoscere i tassi settoriali di imprese irregolari, ma neppure quelli generali relativi al lavoro irregolare e sommerso.
Una riflessione più articolata è possibile, invece, su quella parte del rapporto che rileva i provvedimenti di sospensione adottati sulla base dell’ex art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008. Si tratta della norma che attribuisce agli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro il potere di adottare provvedimenti di sospensione dell’attività d’impresa quando si riscontra l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro.
Due compiti critici
Nel periodo gennaio-dicembre 2010 su tutto il territorio nazionale sono stati adottati 7.651 provvedimenti di sospensione (Tab. 2). In due soli comparti, Edilizia e Pubblici Esercizi, si sono concentrati oltre la metà dei provvedimenti complessivi di sospensione adottati nel 2010. Eppure rappresentano appena il 20% delle imprese ed il 17% dell’occupazione complessiva.
Una circostanza che suscita qualche perplessità in primis sul sistema di campionamento dei controlli.
Del tutto marginali i provvedimenti che hanno riguardato i settori dell’industria e, soprattutto, dell’agricoltura nonostante sia ampiamente riconosciuto, e le linee guida sull’attività di vigilanza ne danno conferma, che proprio in quest’ultimo settore si concentrino i maggiori tassi di occupazione irregolare.
C’è, tuttavia, un’altra chiave di lettura per interpretare i dati sulle sospensioni che riguarda i requisiti tecnici.
La soglia che fa scattare la sospensione non sembra affatto neutrale essendo direttamente collegata alla dimensione dell’Impresa. Non è difficile capire che un valore percentuale, nel caso in questione 20% e più, produce situazioni fortemente differenziate a seconda della grandezza assoluta alla quale si applica. Per un’Impresa che ha 2,5 occupati il 20% equivale a 0,5, per una che ne ha 200 a 40.
Il risultato? La prima Impresa subisce il provvedimento di sospensione se ha un solo lavoratore part time in nero, mentre la seconda se contiene il lavoro nero entro la soglia delle 40 unità è fuori pericolo.
L’iniquità del sistema è palese
Ma a ben vedere il provvedimento, così come oggi è concepito, non discrimina tanto o soltanto tra piccola e grande impresa ma anche tra impresa “accentrata” e impresa “diffusa”.
Il provvedimento di sospensione scatta in funzione del personale presente sul luogo di lavoro, non di quello complessivamente occupato dall’Impresa anche in altre unità locali. Ecco, allora, che emerge una sperequazione in funzione dei diversi modelli di organizzazione dell’Impresa e, alla fin fine, tra economia industriale ed economia dei servizi. è piuttosto diffuso, infatti, che le grandi imprese che operano nel mercato dei servizi abbiano un’ampia articolazione produttiva.
Quali conclusioni possiamo trarre da quanto abbiamo visto?
La prima è che non tutte le Imprese sono uguali dinanzi alla legge.
La seconda è che si predica bene e si continua a razzolare male.
Il sistema, infatti, non sembra coerente con i provvedimenti a favore delle piccole imprese sia che si tratti dello small business act sia di quelli più recenti tesi a snellire e razionalizzare i controlli per ridurne l’impatto proprio sulle imprese più piccole.
La terza è che l’attuale struttura della norma non tiene conto dell’evoluzione della struttura economico-produttiva.
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