pubblici esercizi
19 Luglio 2016Certo che se n’è fatta di strada dai tempi del Cerutti Gino, per gli amici Drago. Solo 40-50 anni fa il modello diffuso era proprio questo: il bar del Giambellino, immortalato da Gaber in una sua celebre ballata. Un tipico bar di quartiere, dove ci si incontrava per bere un bicchiere, socializzare e magari giocare a biliardo. Poi le cose sono cambiate. A poco a poco. “Il bar si è evoluto - ci spiega Giuseppe Minoia presidente onorario di Gfk Eurisko - per merito proprio, sfruttando, cioè, la propria creatività. Ma anche grazie ai cambiamenti socio-culturali dei consumatori. Un tempo era vissuto, in una sorta di diade virtuosa accanto alla famiglia, come unico centro di socializzazione, incontro e scambio. Addirittura veniva visto come una sorta di compensazione al familismo esasperato, una sorta di luogo di “evasione”, quasi sempre “per uomini”. Poi negli ultimi 30 anni succede qualcosa. Anzi tante piccole cose che, combinate tra loro, trasformano l’originaria identità del bar. La famiglia cambia, cambiano i rapporti fra i vari componenti e cambia il ruolo della donna che ridimensiona l’attività di casalinga. Il desco come focolare domestico perde sensibilmente la sua forza aggregante. Il tempo dedicato alla preparazione di pasti si riduce notevolmente. Si passa sempre più tempo fuori perché sono cambiati gli orari e le modalità di lavoro. E, a questo punto, trovare nuovi punti di riferimento all’esterno diventa fondamentale”. È qui che entra in campo il bar, che - accanto alla tazzina di caffè o al bicchiere di vino - si reinventa nell’ambito della ristorazione. Piatti caldi, freddi, insalate. E panini. “E non mi riferisco solo alla moda paninara degli anni ’8o - prosegue Minoia - ma anche alle molteplici declinazioni che nel tempo sono state fatte del panino, puntando sempre più su concetti come freschezza, personalizzazione e originalità. Fino ad arrivare a oggi, ai veri e propri artisti del panino, in grado di proporre esperienze gustative a tutto tondo”.
LA LOGICA DEI CONCEPT I germi del cambiamento, ancora in nuce nel secolo scorso, assumono una configurazione più netta all’alba del nuovo millennio. “È agli inizi del 2000 - conferma infatti Minoia - che assistiamo a un vero e proprio boom dei vari concept. Quasi la città si fosse risvegliata per accogliere un consumatore sempre più spesso proiettato verso l’esterno. Il tentativo è dunque quello di concettualizzare esperienze e pratiche diverse: da quella dell’aperitivo a quella del lunch, fino ad arrivare a concept sempre più peculiari come quello multi etnico del sushi bar o quello salutistico fondato sui centrifugati, che ammicca al pubblico femminile (nell’immaginario collettivo) più sensibile a questo aspetto”.
LA DIMENSIONE DEL “FUORI” Insomma: il bar come pura dependance sociale delle pareti domestiche quasi non esiste più; le contaminazioni con il mondo “di fuori” sono sempre più evidenti. “La dimensione “mobile” della strada è sempre più ambita ed è quasi vissuta come parte integrante del locale. Il window shopping (persone che dalla strada guardano anche senza entrare e consumare), non è più vissuto come un fastidio, ma come componente invitabile di questa più stretta compenetrazione fra dentro e fuori, fra utente e spettatore, fra bar e città” - sottolinea Minoia. “E lo street food ne è la manifestazione tangibile: è sempre più spesso un fiorire di baracchini che propongono ravioli, lampredotto, merluzzo fritto, pane e panelle. Le declinazionali regionali, un tempo marginali all’interno dell’area metropolitana, hanno nel tempo acquisito un nuovo status. Oggi coccolano il cliente, gli consentono di sfamarsi con gusto risparmiando tempo (e spesso anche denaro) in quella dimensione extra moenia, che sta diventando una consuetudine per tantissime persone. E che è strettamente correlata a un chiaro cambiamento antropologico: quello di una proiezione verso l’esterno, dovuta in parte a un’incapacità di rimanere a lungo in contatto con la propria interiorità”.
I RITMI DEL CAMBIAMENTO Uno sguardo indietro, che abbracci gli ultimi 30 anni, conferma la connotazione del bar come “luogo evolutivo”. Restare fermi è un lusso che non ci si può permettere, salvo forse nel caso dei locali icona, divenuti nel tempo un vero e proprio brand (ma anche per essi il beneficio del dubbio è lecito). “Oggi il cambiamento è sempre più veloce e riguarda tanto l’offerta (esempio lampante quella relativa al caffè in tazza esplosa in decine di varianti, declinabili all’infinito) quanto i tempi e i modi di fruizione. Specialmente in una società iperconnessa come quella di oggi, il bar è sempre più punto di riferimento della società fluida, di una festa mobile. Gli appuntamenti si diffondono in rete, rimbalzano sui social quasi come dei flashmob, rapidamente capaci di creare tendenze, ma altrettanto rapidamente soggetti all’oblio. Il web amplifica le opinioni, le recensioni degli utenti sono in grado di costruire e demolire l’immagine di un locale. Il passaparola viaggia veloce e comunica anche meglio di certa pubblicità”. E allora? “Allora la strada è a senso unico: ascoltare, capire e assecondare le richieste di cambiamento e scegliere di evolvere”.
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A cura di Matteo Cioffi
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