È
notizia recente, attribuita ad importante
associazione del mondo agricolo, secon-
do la quale l’Italia è il paese più caro del
Mediterraneo per i prezzi di alberghi e
ristoranti,primatocheci farebbeperdere
posizioninelmercatodelturismointernazionale.
Senza voler censurare nessuno, trovo stonata
l’invasione di campo degli agricoltori, oltre che
parziale il modo in cui la notizia è stata diffusa.
Sarebbe meglio che ognuno curasse il proprio
settore, anche se il benessere dell’economia
nazionale è interesse generale, ed inoltre che,
quandosiparladiprezzi,sipresentassemeglioil
contornoall’internodel qualeessi si sviluppano.
Innanzitutto il turismo che perde posizioni pre-
senta, nel 2013, un saldo positivo nella bilancia
commerciale di 13miliardi di euro, a fronte cioè
di 33 miliardi spesi dagli stranieri in Italia e i
20 miliardi spesi dagli italiani all’estero, mentre
lo stesso saldo, riferito all’agroalimentare, asset
certamente importante del made in Italy e spes-
so citato a virtuoso esempio, presenta un saldo
negativo di 7 miliardi di euro.
Si potrebbe fare di più e meglio, ma intanto
incominciamoad inquadrare i valori, utili anche
per dare titolarità e meriti ai soggetti.
Nella ristorazione, poi, dove il costo delle mate-
rie prime e del lavoro, assorbe il 75% del costi
complessivi, andrebbe segnalato che l’acquisto
di prodotti alimentari costa mediamente il 12%
in più della media europea, mentre il costo me-
dio di un’ora di lavoro nell’Unione Europea è
di 23,90 euro (20,10 in Spagna, 16,60 a Cipro,
15 in Slovenia, 12,60 in Portogallo), in Italia è
di 28,20 euro.
Se aggiungiamo i primati della pressione fiscale
(44,6% contro la media UE del 41,2%), lo spread
sul costo dell’energia o primizie come l’imposta
di soggiorno e altri tributi locali, i destinata-
ri delle notizie capirebbero meglio i motivi di
differenze che non sono, però, attribuibili alla
voracità degli imprenditori del turismo italiano.
La precisazione è utile per riconfermare che i
dati devono servire per capire meglio la realtà,
e non a deformarla a proprio piacimento.
È noto, invece, che da (troppo) tempo il settore
soffre di un abusivismo imperante, che lo sta
dequalificando e penalizzando, proveniente
da varie parti, anche dal mondo agricolo che,
nonostante i generosi sussidi e contributi che i
contribuentipaganoconlafiscalità,stacercando
nuovi spazi in attività commerciali e turistiche.
Obiettivo legittimo, se venisse rispettato il prin-
cipio “stessomercato, stesse regole” che da anni
sosteniamo,mailproliferaredifalsifarmmarket,
agriturismi, sagre, va limitato.
Ècuriosoconstatarecomeai ristoratori si chieda
di utilizzare sempre di più prodotti dop o biolo-
gici, notoriamente più cari o di fare investimenti
sulla carta dei vini e, contemporaneamente, li
si critichi sui prezzi anziché sostenerli per il
loro ruolo di ambasciatori dei prodotti italiani.
Il nostro è un paese caratterizzato anche da un
alto tasso di autolesionismo dimenticandosi che
per emergere serve la squadra, all’interno della
qualeognunodevesaperfareilpropriomestiere.
Non è solo un problema economico o di titoli,
anche se il palmares della ristorazione italiana
è eccellente, ma di costruttiva, serie e civile col-
laborazione, nell’interesse dell’Italia.
Cordialmente.
Lino Enrico Stoppani
Le manipolazioni dei dati
AL NOSTRO PAESE
NON SERVONO
ATTEGGIAMENTI
AUTOLESIONISTICI
BENSÌ UN GIOCO
DI SQUADRA IN CUI
OGNUNO FACCIA LA
SUA PARTE
Il punto
del presidente FIPE
6
Mixer
SETTEMBRE 2014