bevande

28 Marzo 2014

Microbirrifici: in horeca cresce l'onda della birra artigianale


Microbirrifici: in horeca cresce l'onda della birra artigianale

Oggi i microbirrifici italiani sono oltre 500 sparsi da Nord a Sud, mentre la birra artigianale copre circa il 2% dei consumi totali, circa 17,5 milioni di ettolitri.

Artigianale, riferito alla birra, è un aggettivo che ha l’effetto di un grimaldello, suscita entusiasmo tra produttori e consumatori, evoca scenari opposti rispetto alla scialba bevanda con la schiuma “da prezzo”. Una vorticosa crescita che sembra non avere fine, nonostante la scarsa chiarezza legislativa, l’estrema eterogeneità della struttura produttiva -da microbirrifici e brewpub da poche migliaia di bottiglie l’anno, fino a realtà più grandi con una riconoscibilità nazionale e internazionale- e una cultura birraria in fieri sempre sospesa tra le distorsioni figlie della controcultura giovanile e le sofisticazioni più elevate, che scimmiottano il mondo del vino e entrano nella cerchia d’influenza della haute cuisine.

Di fatto siamo di fronte a una rivoluzione irreversibile che porterà la bevanda tipica del muratore a frequentare ben altre tavole, a smettere i panni della working class per indossare panni più elevati e dispiegare di fronte al bevitore italico un ventaglio di proposte, stili, interpretazioni che distrugge e distruggerà per sempre la canonica tripartizione “bionda, rossa, scura” che finora ha guidato le proposte dei locali e le scelte di noi italiani, da sempre più avvezzi al vino che alla bevanda spumeggiante..

I microbirrifici italiani sono oltre 500 sparsi da Nord a Sud. Un numero che fa gridare alla bolla alcuni addetti ai lavori, che da qualche stagione si aspettano (e auspicano) un ridimensionamento del numero dei produttori in favore di realtà più grandi, più professionali, ma senza alcuna concessione alla qualità.

«Oggi – dichiara Teo Musso, fondatore e patron di Baladin, birrificio precursore del movimento e tuttora uno dei più quotati a livello nazionale – la birra artigianale copre circa il 2% dei consumi totali, circa 17,5 milioni di ettolitri. Secondo alcune stime nel prossimo futuro, parliamo dei prossimi cinque anni, il mercato raddoppierà e raggiungeremo il 5% del mercato. Dal mio punto di vista avremo un forte impulso con il formato in bottiglia da 33 cl, finora il meno dinamico, ma che ci darà ottime soddisfazioni, soprattutto se sapremo offrire al mercato un prodotto di qualità e con un posizionamento di prezzo intermedio, capace di attrarre».

Non per soli specialisti

Il fuoricasa rimane il canale più importante per la vendita di birra artigianale in Italia. Non solo pub specializzati, oggi una larga fetta di locali, dal bar alla pizzeria fino a trattorie e ristoranti, più o meno prestigiosi, hanno in carta una lista di etichette artigianali che riscuotono il favore dei clienti, nonostante i prezzi spesso superiori alla media, grazie a un bouquet olfattivo e gustativo imparagonabile rispetto alla lager industriale. Spesso la provenienza è un altro fattore di successo, in particolare nei territori di origine, tanto che il panorama produttivo sembra essere fondato su questa base, visto che da Nord a Sud, ogni zona d’Italia può contare sul proprio microbirrificio.

Per i big, invece, lo sviluppo passa attraverso strategie di marketing più articolate, che passano attraverso l’apertura di locali “monomarca” o la costruzione di solide politiche di brand, anche all’estero. «Credo che l’apertura di locali legati alla propria marca – prosegue Musso – permetta ai produttori di dare visibilità alla filosofia del marchio, innescando un interesse più ampio nel pubblico, proponendo birre con i corretti abbinamenti con il cibo, permettendo di aumentare la cultura birreria nazionale».

Punta, invece, a un posizionamento che guarda con attenzione ai super appassionati in tutto il mondo il Birrificio del Ducato, che ha fatto man bassa di premi nazionali e internazionali nei concorsi più prestigiosi, e si è ritagliato una fetta di fan anche grazie alle capacità di Giovanni Campari e al suo amore per la sperimentazione.

Territorio e km 0

Affinamento in botte, birre a fermentazione selvaggia, birre acide, ma anche rispetto degli stili classici: la strategia del Ducato rimane in equilibrio tra questi due elementi. «Stiamo consolidando la nostra posizione - spiega Campari - in particolare nel segmento delle birre acide, nicchia nella nicchia rivolta a un pubblico competente, ma che ci sta dando grandi soddisfazioni in Italia e in tutto il mondo». Come l’ultima nata la Crisopolis, un barley wine invecchiato in botte da vino che mostra tutta la sua italianità ed è apprezzato all’estero. Accantonato per ora il progetto Bia, che voleva diffondere birra artigianale non pastorizzata e non filtrata in Gdo a un prezzo concorrenziale in linea con le special straniere (secondo alcuni rilevamenti le vendite di birre di questo segmento valgono il 7% del mercato e sono in crescita), ora la sfida del Birrificio del Ducato è di inaugurare una nuova struttura produttiva all’avanguardia che permetta di ampliare la capacità produttiva del birrificio di Roncole Verdi (Pr) e che riesca a sintetizzare in un unico edificio l’attenzione al dettaglio e l’apertura a nuove influenze, da sempre una delle sue caratteristiche.

Territorio e km 0 sono invece le caratteristiche di Birra Zimella, microbirrificio a filiera corta che produce al suo interno tutte le materie prime usate nel suo processo di brassificazione, compreso l’orzo dal quale ricavare il malto (rigorosamente bio) e il luppolo, che dona alla birra le sostenne aromatiche, coltivato in un podere annesso al birrificio, ricavato in casolare di campagna. Sul tetto 27 pannelli fotovoltaici contribuiscono all’autosufficienza energetica del birrificio.

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