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24 Agosto 2015Il mercato away from home italiano è il terzo in Europa (dopo Spagna e Regno Unito) e ha tenuto anche durante la crisi, diminuendo meno che in altri Paesi: solo dell’1%. Un pasto su tre (32,3%) viene consumato fuori casa. Vi sono però ancora spazi di crescita. Lo evidenzia la ricerca di TradeLab “La ristorazione in Italia: quali t rend?”.
OCCASIONI DI CONSUMO - Il quadro è quello di una ipersegmentazione dell’offerta, che è però concentrata in poche pratiche di consumo. Ed è proprio dall’incrocio tra luogo e occasione di consumo che possono nascere opportunità interessanti. Se infatti 11 pratiche assorbono il 50% del mercato a valore, c’è margine per intervenire sul restante 50% per far crescere il mercato. Come? Lavorando sugli “incroci minori” (ad esempio pranzo al bar o colazione e pausa in pasticceria), fornendo prodotti specifici e lavorando per creare nuove occasioni in locali in cui la frequenza si concentra in alcuni momenti della giornata.
IL FATTORE PREZZO - Gli italiani sono ancora più che disposti a mangiare fuori casa, mantenendo le occasioni del pranzo (per motivi logistici e funzionali) e della cena (e qui il tema della socialità prevale). Però, e in questo la crisi ha influito, sono più attenti nella scelta, frequentano meno tipologie di luoghi, e preferiscono quelli a basso costo (bar, pizzerie, in leggero declino, e ristoranti sotto i 30 euro) e di passaggio (centri commerciali, aree di servizio, stazioni e fast food). Prediligono però anche la varietà dell’offerta, e sono più curiosi ed esigenti che in passato: per una sorta di “effetto Masterchef” sono attenti alla qualità del piatto. Chiedono tutto: qualità, convenienza e anche esperienza e attenzione agli elementi relazionali.
IL SERVIZIO - Per anni lasciato nell’ombra, è elemento oggi discriminante, a tutti i livelli. La rapidità con cui si viene serviti è essenziale (il tempo è denaro), e in questo un aiuto può venire dalle nuove tecnologie, con app sempre più evolute che consentono ad esempio di ordinare prima di arrivare al ristorante, e pagare con un tocco dello schermo. Nell’alta gamma poi l’attenzione in sala e la capacità degli addetti di comunicare e consigliare un prodotto, un ingrediente, un processo, ma anche la ragione di un prezzo, è fondamentale. A riprova di ciò, nella scala degli elementi che determinano la scelta di un locale il personale svetta addirittura al primo posto, mentre fanalino di coda sono a sorpresa le dotazioni tecnologiche (sito web e wi-fi gratis). Ma attenzione: è un dato che dipende molto dal tipo e dalla frequentazione dell’esercizio. Se nelle pizzerie è fondamentale la rapidità di servizio, al ristorante di fascia medio-bassa si richiedono menu a prezzi fissi e a quello medio alto atmosfera, ambientazione e prodotti particolari.
CATENE VS INDIPENDENTI - Il Paese regno dei locali indipendenti e delle gestioni famigliari si sta forse aprendo alle catene di ristorazione? È un processo lungo e complesso, che tocca il cuore stesso dell’imprenditorialità italica. Ma quali sono le tendenze in atto? Ce lo dice ancora la ricerca di TradeLab. Che parla di un’offerta complessiva ampia e variegata, alla continua ricerca di forme per differenziarsi, a fronte di un fatturato in leggera diminuzione, che però sta guadagnando terreno rispetto alla ristorazione indipendente. Le catene hanno una maggiore dinamicità e attenzione alle tendenze di mercato, sembrano più attrezzate per lavorare sulle occasioni (la prima colazione da McDonald’s, l’aperitivo da Rossopomodoro) e aumentare l’offerta di esperienzialità. E, se il dopocena richiede maggiore impegno, potrebbero iniziare a pensare, avvantaggiandosi dell’apertura continua, alla pausa del mattino e del pomeriggio.
Superata insomma la fase fast-food only, stanno iniziando ad aggredire anche la fascia medio-alta dei consumatori. Gli esempi più recenti? Restando alla Milano dell’Expo, My chef in Triennale, il Mercato del Duomo di Autogrill con una proposta articolata che, tra street food, mercatino gourmet e bistrot arriva al ristorante dello chef pluristellato Niko Romito, e Eataly Smeraldo, che tra le proposte gastronomiche sciorina la stella di Viviana Varese.
E la ristorazione indipendente? È in difficoltà, con fatturato e clientela in calo. Deve rispondere con un maggiore utilizzo delle strutture per aumentare offerta, qualità, servizi ed esperienzialità: in una parola deve differenziare. E lo sta facendo. Già oggi il 68% dei ristoranti organizza banchetti, il 48% offre menu a prezzi fissi, il 47% dà il wi-fi gratuito e il 26% fa gli aperitivi. Un trend sempre più diffuso, quello del mixologist al ristorante, ormai diffuso negli States, dove è normale aprire il pasto con un cocktail, classico o creativo. Infine, il 19% organizza serate a tema nel dopocena e il 13% ha la pay tv, e si sta facendo largo il catering a domicilio.
CHI SALE E CHI SCENDE - La ristorazione è insomma un settore che sta vivendo un momento di grandi cambiamenti, e che tende a contaminarsi con altri ambiti e settori, dal retail agli home restaurants, un fenomeno che è in crescita con un forte accento sulla relazione. Tutto questo ha portato giocoforza a dei rivolgimenti di mercato. In declino al momento ci sono i multipurpose con tanti posti a sedere, e in parte le pizzerie. Aumentano invece le trattorie di qualità, gli smart restaurant e i top gourmet. Spuntano i locali pay per time, che privilegiano il momento della socialità e si propongono come luoghi dove consumare ma anche lavorare e studiare, come Anticafé a Roma o Ziferblat a Londra. E nascono i locali ibridi, che comunicano con il nuovo pubblico come il milanese Bahama Mama, nail bar dove si possono anche acquistare abiti e scarpe. È una ristorazione che ormai entra ovunque, in libreria e in bicicletteria, dal parrucchiere o dal fioraio, o più prosaicamente al supermercato. Perché piace al consumatore moderno in debito di tempo mangiare e fare shopping (o tagliarsi i capelli, o farsi le unghie) in una volta sola, ma con gusto.
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A cura di Matteo Cioffi
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