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19 Marzo 2016Nella riscoperta delle origini del bere miscelato, che negli ultimi anni ha riportato dietro ai banconi cocktail, ingredienti, strumenti e look degli anni Venti e Trenta del Novecento, un capitolo a parte lo merita il Futurismo. Il movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti sovvertì le regole dell’arte, del linguaggio, della comunicazione, della cucina e anche della miscelazione. Artisti futuristi come Fortunato Depero, Nikolay Dugerhoff e Ugo Pozzo fecero la fortuna di marchi storici del beverage come Campari e Amaro Cora. Difficilmente oggi recupereremo termini come “quisibeve” o “polibibite” con cui, ai tempi dell’autarchia, si indicavano rispettivamente il bar e i cocktail; eppure, secondo Fulvio Piccinino, autore del libro “La miscelazione futurista” e del sito Saperebere, vale la pena riscoprire ciò che il Futurismo ha rappresentato per la tradizione italiana della miscelazione. Sabato 18 marzo, nell’ambito di Zero Design Festival, Piccinino ha tenuto un seminario dedicato proprio alla miscelazione futurista, al quale sono intervenuti anche Yuri Gelmini e Fabio Tarroni, barman appassionati di polibibite che, al termine dell’evento, hanno proposto al pubblico le loro creazioni.
“I futuristi – spiega Piccinino a Mixer Planet - crearono polibibite che chiamavano ‘Inventine’ (servivano ad avere idee fulminanti), ‘Snebbianti’ (per liberare la mente da inutili morali), ‘Guerra in Letto’ (nel caso dopo cena si avesse un incontro galante), oppure ‘Pace in Letto’ e ‘Presto in Letto’ (per prendere sonno e riscaldarsi). Rispetto ai drink americani, basati sul bilanciamento acido-zucchero-spezie, quelli futuristi si basavano sull’equilibrio dolce-salato: così ecco coppe cocktail con gin, anice e cumino oppure abbinamenti fra caviale, Strega e latte di mandorle o ancora polibibite che accostavano dolce e piccante come il famosissimo Brucia in Bocca, ottenuta con amarene riempite di pepe nero. Inoltre i futuristi davano grande importanza alla presentazione, con decorazioni plastiche, tridimensionali: non più scorzette di limone o di arancia ma datteri ripieni o arrotolati nel prosciutto, cubetti di formaggio con cioccolato o nocciolini di Chivasso con cubi di ananas, succhi di frutta congelati che venivano sciolti nella polibibita facendole cambiare gusto e colore…”.
Ma soprattutto, la miscelazione futurista non dettava regole sulle dosi esatte, lasciando libero il barista di poter sperimentare. “Ogni errore di dosaggio potrà dar vita ogni volta una ricetta diversa»”, diceva Marinetti: concetto artistico legato al fatto che ogni polibibita doveva essere potenzialmente unica, una sorta di installazione temporanea che doveva suscitare nel bevitore, come in un osservatore di un’opera d’arte, emozioni suggestive e determinanti, passando spesso attraverso la provocazione e l’azzardo.
Ho iniziato le mie ricerche alla riscoperta del bere futurista nel 2004, non tanto per inserirmi nella moda del rilancio di tecniche e drink di inizio Novecento, quanto con l’intento di recuperare una tradizione ormai perduta legata all’uso di ingredienti italiani nella miscelazione. I futuristi, nel periodo dell’autarchia, fecero di necessità virtù utilizzando ingredienti nazionali per creare i loro cocktail (pardon, polibibite): grappe, vini, vermut, amari, bitter. Oggi si è tornati alle origini riscoprendo gli anni Venti e Trenta ed è logico che ciò sia accaduto, dopo la crisi della miscelazione degli anni Ottanta e Novanta con il dilagare di distillati improbabili come le vodka alla frutta. Il problema è che abbiamo recuperato tradizioni straniere: gli speakeasy, il tiki… Si parla tanto di mescal, tequila, pisco e dimentichiamo le nostre grappe, prodotti magnifici che non hanno nulla da invidiare al cognac, o la nostra varietà di amari unica al mondo. C'è stato un forte rilancio del Negroni grazie all'opera di Luca Picchi, ma il resto della storia della miscelazione made in Italy rischia di essere dimenticato. La mia idea è quella di partire dalle polibibite del Futurismo per proporre delle ‘neopolibibite’ ricorrendo agli amari, ai distillati, ai frutti del nostro territorio: dall’amaro Segesta ai capperi di Pantelleria, dal liquore alle noci allo zafferano”.
Zero Design Festival
Fino a domenica 20 marzo
Discoteca Plastic
Via Gargano, 15 - Milano
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A cura di Matteo Cioffi
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