20 Agosto 2013

Il boom della musica elettronica


Il boom della musica elettronica

Musica elettronica. Si riempiono tutti la bocca con questo termine. È un trucco utilizzato per rendere ogni festa più di tendenza,  creando interesse e dimostrando che da

parte degli organizzatori c’è stata una vera ricerca. Questo accade tuttavia solo agli improvvisati desiderosi solo di riempire il proprio locale. Perché c’è anche un’altra Italia che opera nella notte: quella dell’underground a tutti i costi. E quella della musica elettronica, che difficilmente farà crossover e che quindi mai nessuno ascolterà per radio. È un suono difficile, spesso povero di melodie, di arrangiamenti, e ricco di ritmica ipnotica. È il contraltare dei dj super pagati. In questo caso chi mette i dischi non è una popstar bensì un dj amante di un genere preciso, con un buon seguito di fan, raramente presente nelle classifiche di categoria e mai pronto a svendersi al primo festival.

Ma forse la quasi totalità degli artisti underground sogna un giorno di essere protagonista di grandi festival o di suonare in grandi discoteche.

In Italia le città fulcro nell’ottica underground sono due: Bologna (con in primis lo spazio polifunzionale del Link) e Torino (l’Askatasuna è il massimo).

Qui fare i nomi di chi guida le consolle è dura, soprattutto quando i generi si miscelano ai sottogeneri diventando stili e quando una nicchia dell’intrattenimento risulta non essere più tale (…). Roma e Milano intanto stanno (poco) a guardare offrendo il meglio attraverso i CSA, ovvero i centri sociali autogestiti, oppure piccoli club affiliati ad associazioni come l’Arci.

Nel capoluogo lombardo La Pergola ha chiuso (il 30 gennaio del 2009), ma resistono e bene lo storico Leoncavallo e un mini club come il Tunnel. Nella Capitale tiene testa a tutti il Brancaleone. L’itinerante (tra Dalmine e Brescia, ultimamente a Trezzo) Matrix è il massimo nel genere.

C’è da imparare, da questa scena. Micro budget che vanno d’accordo con l’autogestione e una costante condivisione per arrivare al massimo del risultato con il minimo investimento. La ricetta sta tutta nella ricerca, nella selezione, nel rapporto tra addetti ai lavori e nel metodo.

Lo sa bene Joy Kitikonti, un dj esperto e pronto a valutare in modo attento l’altra faccia del clubbing odierno. “La giungla notturna psicologicamente è sempre la stessa e gli impulsi e gli istinti umani restano invariati fin dalle prime danze tribali”, sottolinea Kitikonti. “Questo è quindi un mondo dove potersi sfogare, fare amicizie, trovare l’anima gemella. Anche se, parlando di dj set in base alla mie esperienze iniziate a metà degli anni Ottanta, adesso è sempre più difficile stupire il pubblico. Prima bastava un semplice gioco di scratch, qualche virtuosismo, e tutti restavano sbalorditi.

Oggi invece grazie o a causa dell’attuale tecnologia della serie ‘hey, anch’io faccio il dj (grazie al tasto sync)’, diventa più difficile stupire data la quantità di effettistica che si è aggiunta”. Aggiungiamo poi internet e traiamo le conclusioni. “Tutti sanno ciò che stai suonando a meno che non fai cose tue inedite e che non hai dato a nessuno.

Ciò che però molto spesso mi fa piacere è vedere giovani cultori che osservano e ascoltano con piacere ciò che facciamo”. E l’underground resiste, sgomitando. “Di sicuro ha guadagnato molta visibilità nei confronti degli anni passati. Probabilmente anche grazie alla rete che ha permesso a tutti di poter condividere anche le serate più di nicchia dando la possibilità e incuriosendo anche coloro che non hanno mai avuto modo di avvicinarcisi. Credo che questo sia il momento migliore per osare nell’underground”.

Ci sono parecchi marchi lontani dalla massa. “Il nostro caro Matrix si riconferma per l’ennesima volta uno dei migliori del Paese. Altro club super affermato è il Juice di Bergamo, dove da anni le serate organizzate da Dani Vescovi sono una garanzia. Stimo tantissimo anche i party e le iniziative organizzate dalla Yuma, fondata e gestita da Bruni & Danielle. Il loro è un contenitore di opere d’arte. Poi ci sono il Vinile 45 e il Club 999”. Kitikonti non ama definire il suo suono underground. “Spesso mi parte la valvola rock, piuttosto che dark, piuttosto che funk o new wave. E non dovrebbero esserci dei parametri come spesso succede. Basta inserire tra un groove e l’altro qualcosa di diverso, di creativo, per evitare la monotonia”. Ma non ci sono solo i colleghi e amici del gruppo Metempsicosi (Franchino, Zicky, Mario Più, Ricky Le Roy, Leonardo e Luca Pechino) da tenere sott’occhio.

“Farei attenzione a Bimas, che si sta rivelando un grande dj e super produttore rispettato dalle più importanti label underground (con le quali lavora)”.

E ci sono Marco Effe (con i suoi progetti made in Berlin) e Allì Borem (tra i più giovani esperti di sintetizzatori).

L’underground odierno sembra la risposta al proliferare di super dj nei festival e nelle grandi discoteche. “La realtà dell’elettronica odierna attrae molte più persone rispetto agli anni passati”. Nel resto del mondo le cose non vanno in modo diverso. “Ciò che ho potuto constatare è che sicuramente Berlino è tra le città top dell’underground. A qualsiasi ora di qualsiasi giorno trovi un posto dove ascoltare buona musica e ballare”. Il movimento non può contraddirsi e diventare popolare. “A chi lo apprezza davvero scorre nelle vene puro sangue underground e club. Chi s’improvvisa poi resta fuori dal giro. Personalmente, tuttavia, sono contento che oggi tutti abbiano la possibilità di dare una sbirciatina al nostro mondo sotterraneo. Qui regna arte e creatività”.

Leoncavallo senza briglie

È il luogo in cui davvero lo spazio è libero per la sperimentazione. Lo staff organizzativo tuttavia è pronto a precisare: “La nostra non è una struttura clubbing: non lo è nello spirito, data l’assenza di elementi come guardaroba, pierre, privè o la possibilità di prenotare ingresso, tavoli e quanto altro; tantomeno lo è nella conformazione architettonica, essendo un’ex stamperia, ovvero una struttura industriale dalle dimensioni imponenti”. Malgrado ciò, il Leoncavallo ha un ruolo attivo e determinate nella scena della musica elettronica milanese. “Il Leoncavallo è una struttura aperta che dà spazio a diverse realtà e progetti specifici”. Un sound electro techno (oltre ai nomi internazionali continueranno anche le serate “FuckStep” e “Mad is Coming” dedicate alla scena nostrana, la prima concentrata sul drum’n’bass e dubstep, la seconda sull’electro moobahton) e le arti digitali. “Un sacco di gente ancora si diverte e l’underground così gode ancora di buona salute”. Magnolia e Bitte con la serata “DnB is WkD” hanno fatto scuola. “Ma se consideriamo che sono entrambi circoli Arci possiamo concludere che a Milano non esiste un vero e proprio club capace in questi anni di valorizzare la drum’n’bass e dubstep”. Invece il Leoncavallo varia di molto l’offerta. “Durante l’anno succede veramente di tutto: party di musica elettronica, dance hall reggae, jam jazz & blues, showcase hip-hop e concerti dal vivo; e tutto questo può accadere con un guest italiano o internazionale, che magari qualche anno prima era ospite a Sanremo, piuttosto che con un progetto di musica underground legato al territorio”. Spesso nei centri sociali si crea una forte connotazione musicale legata a uno o più generi, come rappresentano esperienze di occupazioni legate al punk, alla techno o al reggae.

“Per quanto riguarda invece la qualità della fornitura tecnica è sicuramente di gran lunga superiore alla media dei centri sociali, e questo dà la possibilità di lavorare anche con artisti più esigenti. Poi ovviamente l’organizzare eventi da migliaia di persone ti impegna anche ad offrire un sevizio di sicurezza, ambulanze e strutture solitamente non comuni all’interno delle feste di altri spazi autogestiti”. Negli ultimi anni ci sono stati molti artisti che hanno alzato moderatamente il livello di gradimento del grande pubblico. Pendulum, Chase & Status e DJ Fresh, ma anche Skream, Benga, Rusko, Nero erano underground e poi hanno fatto registrare importanti numeri sul mercato. “Dalle vendite ai live sino alle visualizzazioni sui social network.

Questo ha preparato la strada a veri e propri fenomeni commerciali come Skrillex con tutti i suoi Grammy Award e può aver creato delle contraddizioni o delle cadute di stile come i discutibili remix per artisti pop”. Ciò ha anche assicurato un veloce ricambio generazionale nel mondo delle feste e della night life. “Anche e soprattutto nell’ambito underground”.

Ruggero Isacchi è il cofondatore di Club Nation, agenzia indipendente che si occupa di booking, produzioni live e consulenza per brand.

“L’ho fondata tre anni fa con Stefano Astore e ad altri soci. Nello stesso periodo con Deya Alverman ho creato iPogomusic, una piccola società di management che al momento si occupa di artisti italiani emergenti come Nt89 (Turbo Rec./Fool’s Gold), Broke One (Magic Wire) ed Elisa Bee (Enchufada Rec.). Sono uno dei quattro membri del collettivo Sabotage che si occupa di fare clubbing intelligente”.

 C’è una fitta rete di piccoli club e mini festival su cui l’underground può far affidamento, oggi.

“Non solo: è emersa anche una nuova generazione di dj e produttori che si sta facendo notare anche all’estero. Siamo ancora all’inizio.

Ma vedere in molti giovani promoter e artisti tanta determinazione mi fa ben sperare per il futuro”.

A Milano la scena è completamente cambiata. “C’è stato un generale rimpasto: la gente ha scoperto club e location interessanti come il Codice in zona piazza Corvetto, anche se restano i capisaldi come i Magazzini Generali e il Rocket. Torino è la città più dinamica, sempre più realtà si stanno affermando con successo.

A Torino ho notato che la scena si è evoluta anche quando sembrava non ci fosse più nulla sotto le ceneri.

Ora si trovano club che fanno generi diversi mentre anni fa c’era un monopolio della techno”. L’Italia sembra coperta a macchia di leopardo da microscene underground. “Ognuna ha una forte vitalità e porta avanti la propria filosofia con serietà. L’underground comunque per essere tale deve rimanere una nicchia”.

E personaggi pop come Neffa e Jovanotti, che qualcuno si ritrova in un piccolo locale della provincia a giocare come giovani dj? “Il pop ha sempre pescato dall’underground, dal clubbing.

Non c’è nulla di male.

La vera underground non si svende”.

L’armata Brancaleone

Aperto nel mese di febbraio del ‘90 attraverso l’occupazione di una palazzina abbandonata da dieci anni e di proprietà del Comune di Roma, il centro sociale Brancaleone riesce a darsi una continuità nel tempo.

Sperimenta e avvia tecniche di comunicazione innovative mantenendo la struttura nell’ambito del no-profit e garantendo l’accesso a tutti e il massimo abbattimento dei costi per i frequentatori e i soci.

Sin dall’inizio del suo percorso, il centro ha costruito molteplici iniziative culturali, sociali e politiche che, coerentemente alla scelta di indipendenza delle proprie attività, sono state autofinanziate.

Oggi è il luogo in cui tutti i dj, quando sono a Roma, vogliono suonare. E questo è un fenomeno davvero incredibile considerando la moltitudine di club e discoteche che potrebbero sfruttare questo trend evitando che i clienti si disperdano in circoli e  centri sociali.

La provincia si fa largo

Lorenzo e Vittorio sono i Lov’It, due giovani dj (classe 1991) e organizzatori della onenight mensile “Hydra” presso il Torçida di Castello d’Agogna, in provincia Pavia.

A breve introdurranno generi come la techno e la tech-house, “ancora poco diffusi e conosciuti nel Pavese”.

Oggi le possibilità date ai protagonisti dell’underground sono limitate, ravvivando la scena commerciale.

“Noi però vogliamo proporre un suono adatto a un pubblico di nicchia”. Insistendo, i due hanno trovato profesionisti disposti a credere e finanziare il progetto. Il diffondersi dei social network ha dato possibilità a tutti di avere grande visibilità: “È una contraddizione.

Tuttavia il messaggio è apparentemente percepito a livello globale e non mirato”.

Tomcraft, animale del djing

Nonostante abbia pubblicato un album come “20 Years”. Nonostante abbia realizzato successi discografici e remixato cantanti pop, Thomas Brückner, in arte Tomcraft, resta un fenomeno del movimento techno rave a contatto con l’underground. Forza trainante della musica elettronica degli ultimi due decenni, ha spesso saltato da macro eventi come la Love Parade di Berlino ai locali più piccoli della scena alternativa tedesca. L’arrivo del suo nuovo album coincide con il lancio mondiale di questi giorni. Dal vivo, poi, Tomcraft non lascia spazio ai dubbi: groove sporchi, collaborazioni con gente come Jimmy Pop, Xavier Naidoo, Tommie Sunshine, Sido e Sister Bliss e l’anima di un guerriero della consolle che non molla mai.

TAG: MUSICA,CLUBBING

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