18 Aprile 2017
Prima di entrare nel vivo della questione facciamo una piccola premessa: in questo contesto prenderemo in considerazione siapesci nel senso stretto del termine che frutti di mare quali molluschi e crostacei. In generale, tutti i “pesci” consumati crudi o poco cotti possono rappresentare un rischio per la nostra salute ma, per i pesci in senso stretto, visto che per “cultura culinaria” vengono più frequentemente consumati cotti, il rischio di causare patologie si riduce. Al contrario, i molluschi e i crostacei, più frequentemente commercializzati e mangiati crudi o parzialmente cotti, sono maggiormente responsabili di malattie associate a microrganismi. In natura esistono vari tipi di microrganismi potenzialmente patogeni (batteri, virus, parassiti ecc.) presenti nei cibi crudi o poco cotti che, una volta ingeriti dall’uomo, possono sviluppare disturbi di vario genere. Solo per citarne alcuni: Listeria, E. Coli, Salmonella, virus dell’Epatite A ecc. Salmonella: batterio contenuto nella carne, soprattutto nel pollame, nelle uova e nei frutti di mare crudi o poco cotti. Può causare una sindrome gastroenterica caratterizzata da vomito, nausea, diarrea, febbre e dolori addominali diffusi che insorgono dopo qualche giorno dall’ingestione dei cibi a rischio.
Virus dell’Epatite A: causa una malattia infettiva acuta del fegato caratterizzata da disturbi di vario tipo. La gravità della sintomatologia varia a seconda dell’età del paziente. I bambini possono non mostrare alcun sintomo, mentre negli adulti la malattia può manifestarsi con sintomi simil-influenzali lievi (generalmente da 2 a 7 settimane dopo il contatto con il virus), come stanchezza/ spossatezza, febbre (fino a 38 °C), perdita di appetito, nausea, mal di testa, dolori muscolari, dolore all’addome (al di sotto delle costole, sul lato destro, in corrispondenza del fegato). Causa comune di infezione è il consumo di acqua o cibi crudi o non cotti a sufficienza, soprattutto molluschi, contaminati con materiale fecale contenente il virus.
Anisakis simplex: il più conosciuto tra i parassiti. Appartiene alla famiglia dei Nematodi e si presenta sotto forma di piccolo verme, lungo circa 2 cm e molto sottile, che completa il suo ciclo biologico nei mammiferi marini (balene, foche, delfini) nei quali deposita le uova che, successivamente tramite le loro feci, vengono rilasciate in mare. Qui, le uova si trasformano in larve che possono essere ingerite da ospiti intermedi, di solito piccoli crostacei, vittime a loro volta di un secondo ospite intermedio, cioè il pesce, dove l’Anisakis termina il suo ciclo larvale. Il pesce contenente Anisakis adulto può essere ingerito nuovamente dai mammiferi marini (che rappresentano l’ospite definitivo in cui il parassita può completare il suo ciclo biologico), oppure può trovarsi accidentalmente in un altro ospite, definito appunto accidentale (nel quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo), che può essere l’uomo se quest’ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che contenga al suo interno la larva di Anisakis. Dopo l’ingestione delle carni infette, Anisakis penetra nella parete del tratto gastrointestinale umano causando l’anisakiasi invasiva; i sintomi si manifestano dopo alcune ore dall’ingestione di pesce crudo o poco cotto, fino a due settimane dopo, per questo motivo non sempre la diagnosi è facile e tempestiva. La sintomatologia è variabile da persona a persona, ciò dipende anche dalle condizioni cliniche dell’ospite. Si possono verificare forme gastroenteriche blande a rapida insorgenza con dolori addominali, talvolta accompagnate da nausea e vomito, fino a forme diarroiche importanti, con presenza di muco e sangue nelle feci, oppure forme orticarioidi fino allo shock anafilattico o, ancora, con sintomi reumatologici e febbre. In alcuni rari casi, se il parassita non viene espulso con le feci, si può arrivare a peritonite e perforazione intestinale. L’unico strumento a nostra disposizione per prevenire tale infezione è una cottura adeguata (60°C) o il congelamento per 24 ore, in grado di uccidere Anisakis.
MERCURIO NEI PESCI, PERCHÈ SOPRATTUTTO NEL TONNO E SPADA
Estremamente attuale è il tema della contaminazione da metilmercurio, la forma di mercurio organico più comune nella catena alimentare e anche la più tossica. L’uomo può esserne contaminato in seguito all’assunzione frequente di pesci, soprattutto di grossa taglia (come palombo, verdesca, smeriglio, tonno, spada ecc.), in cui le quantità di metallo sono maggiori. Ciò è dipeso da un processo chiamato biomagnificazione: il mercurio tende ad accumularsi maggiormente nei pesci predatori perché quest’ultimi, nutrendosi di altri pesci, ne “ereditano” via via la quota che le loro prede avevano a loro volta immagazzinato. Il metilmercurio, una volta all’interno del nostro organismo, si accumula soprattutto nei globuli rossi che lo trasportano nei tessuti attraverso il sangue. Arriva alla ghiandola mammaria e passa nel latte materno. Contrariamente al mercurio inorganico, il metilmercurio è inoltre in grado di attraversare la placenta, la barriera cerebrale e quella cerebrospinale, raggiungendo così cervello e sistema nervoso centrale. Studi recenti hanno confermato il nesso tra l’esposizione fetale al metilmercurio e il ridotto sviluppo neurologico del bambino. Non sono stati evidenziati effetti negativi a livello neurologico nel caso della popolazione adulta, solo a livello gastroenterico. Nessun problema, invece, per i pesci di piccola taglia e il tonno in scatola o quello “fresco” che si trova al supermercato, generalmente della specie pinne gialle (di piccola taglia), in cui i valori di metilmercurio appaiono sempre ampiamente entro i limiti di legge.
(in collaborazione con la Dr.ssa Barbara Panterna)
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